I guai alle macchine di General Motors
Una grossa storia: più di 3 milioni di macchine sono state richiamate perché alcuni difetti meccanici potrebbero essere legati a incidenti mortali
Lunedì 17 marzo General Motors, una delle più grandi case produttrici di automobili al mondo – titolare di dieci marchi differenti, tra cui Chevrolet, Cadillac, Opel e UzDaewoo – ha annunciato che richiamerà in fabbrica diversi modelli usciti tra il 2008 e il 2014 per un totale di 1,5 milioni di macchine, per verificare e risolvere alcuni problemi dell’impianto frenante e difetti del cablaggio degli airbag. Non sarebbe un fatto così clamoroso se non fosse che questo annuncio fa seguito a quello molto discusso del febbraio scorso, quando GM ha richiamato 1,6 milioni di macchine per un difetto all’impianto di accensione del motore che – come riconosciuto dalla stessa GM – potrebbe essere legato a una serie di 31 incidenti stradali che hanno causato la morte di 13 persone.
È una vicenda piuttosto grossa, che sta occupando sempre più spazio sui media americani. Il Dipartimento di Giustizia statunitense ha avviato un’inchiesta penale contro General Motors, chiedendo all’azienda di spiegare perché, nonostante all’interno della fabbrica fossero a conoscenza del difetto da almeno dieci anni, si sia aspettato così tanto prima di richiamare le macchine e informare adeguatamente i clienti. General Motors ha a sua volta avviato delle indagini interne per gli stessi motivi.
«Stavolta qualcosa è andato storto nel procedimento e sono successe cose terribili», ha detto in un video Mary Barra, amministratore delegato di GM dallo scorso gennaio, che ha indirettamente ammesso le colpe di GM e ha detto che l’azienda offrirà al governo la massima collaborazione per venire a capo di questa vicenda.
Da quanto tempo va avanti questa storia
Un articolo del New York Times cerca di approfondire e ricostruire la vicenda dall’inizio, e tira dentro anche il Dipartimento dei Trasporti mettendo in discussione il ruolo della National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA), un’agenzia governativa statunitense che si occupa di sicurezza stradale e che dal 2000 – tra le altre cose – raccoglie i reclami inviati dagli automobilisti contro le case automobilistiche. Secondo un’analisi approfondita del New York Times condotta su circa 8 mila casi, più di 260 reclami contro General Motors raccolti dalla NHTSA dal 2003 al 2014 – una media di 2 al mese – sono legati allo stesso genere di guasto che ha provocato gli incidenti mortali e ha spinto General Motors a richiamare in fabbrica le macchine soltanto nel febbraio scorso. Non è ancora chiaro se e quanti altri reclami facciano riferimento allo stesso difetto, e il motivo è – almeno in parte – anche la natura particolare del difetto.
Qual è il difetto che ha provocato gli incidenti mortali
Il difetto riguarda l’impianto di accensione delle macchine in sei modelli costruiti tra il 2003 e il 2007: sono la Pontiac G5 e la Pontiac Solstice, la Saturn Ion e la Saturn Sky, la Chevrolet Cobalt e la Chevrolet HHR (tutte macchine destinate prevalentemente al mercato nordamericano). Nei reclami gli automobilisti riportano un improvviso spegnimento del motore della macchina e un’interruzione dell’alimentazione che provoca, tra le altre cose, la disattivazione degli airbag (ma anche, per dire, del servosterzo e del servofreno). È come se qualcuno riportasse improvvisamente la chiave nella posizione off nel blocchetto di accensione, e molto spesso si è verificato mentre la macchina era in corsa, con conseguenze tragiche.
Molti reclami, scrive il New York Times, riportano “scene spaventose” in cui le macchine si spengono bruscamente ad alte velocità in autostrada, o in mezzo al traffico in città, o attraversando i binari della ferrovia. «Il motore si spegne mentre guido», scriveva un automobilista citato dal New York Times, «e non riesco più a sterzare né a frenare». Deve essere un’esperienza terrificante, immaginabile solo in parte da chi abbia mai solo provato a frenare o sterzare a motore spento, con la gran parte delle macchine recenti (che utilizzano sistemi di assistenza idraulica o elettronica): il pedale del freno si indurisce progressivamente fino a sembrare praticamente bloccato, e la sterzata diventa molto più faticosa.
A partire dal 2005, quindi molto prima di ricorrere al richiamo in massa delle macchine, GM era intervenuta limitandosi a diffondere ai concessionari un bollettino in cui veniva chiesto di suggerire a eventuali clienti l’utilizzo della chiave di accensione da sola, non agganciata a portachiavi o altri ciondoli il cui peso avrebbe potuto causare lo spostamento della chiave nella posizione off nel blocchetto di accensione.
Si tratta di un difetto di costruzione estremamente serio non soltanto per le possibili conseguenze ma anche perché rende complicato risalire alla causa originaria di eventuali incidenti: l’alimentazione della macchina di fatto dà energia a numerosi dispositivi il cui improvviso arresto può provocare incidenti più o meno gravi, senza che si riesca poi a stabilire facilmente se quel dispositivo (per esempio l’airbag) non abbia funzionato per un difetto intrinseco e isolato, o non abbia funzionato perché semplicemente disattivato in seguito allo spegnimento involontario del motore.
Il New York Times cita due casi in cui due incidenti stradali che provocarono la morte di tre ragazzi spinsero la National Highway Traffic Safety Administration a dover ricorrere anche all’aiuto di consulenti esterni: in entrambi i casi fu stabilito che gli airbag non si erano aperti perché la macchina (una Chevrolet Cobalt) si trovava in movimento ma in accessory mode, che – per capirci – sarebbe quella posizione in cui si trova la chiave quando il motore è spento ma è possibile, per esempio, ascoltare la radio.
Da dove è cominciata questa storia
Secondo diversi osservatori, questa brutta storia è emersa principalmente grazie al lavoro di Lance Cooper, un avvocato di Atlanta, in Georgia, e al caso – da lui seguito – di Brooke Melton, una ragazza morta in un incidente stradale nel 2010 mentre guidava una Cobalt del 2005 (un caso seguito con molta attenzione da alcuni media americani, e ricostruito da Bloomberg qualche giorno fa). Scrive Bloomberg, ripercorrendo la successione degli annunci recenti di GM, che le cose sono andate così: il 13 febbraio scorso GM ha richiamato in fabbrica 800 mila modelli (le Chevrolet Cobalt e le Pontiac G5); sei giorni più tardi, Cooper ha scritto al Dipartimento dei Trasporti una lettera in cui avvisava che “ci sono altri modelli GM difettosi là fuori”; e il 25 febbraio GM ha richiamato anche le Saturn Ion e Sky, le Pontiac Solstice e le Chevrolet HHR.
Cooper – che ha uno studio legale a Marietta, nella Contea di Cobb, in Georgia – ha raggiunto una certa popolarità durante e dopo la causa Melton, è diventato una specie di massimo esperto di casi del genere, e attualmente sta seguendo le cause di altri automobilisti contro GM. Dal 2009, secondo alcuni suoi colleghi nello studio, ha raggiunto in cause legali contro aziende automobilistiche più di cinquanta accordi economici e risarcimenti, tra cui nove per una somma superiore a 5 milioni di dollari ciascuno.
La storia di Brooke Melton
A febbraio del 2011 Cooper fu contattato da Ken Melton, al quale Cooper era stato suggerito dal suo agente assicurativo, che lo aveva avuto come avvocato avversario in una causa precedente e ne era rimasto molto impressionato. Ken era il padre di Brooke Melton, un’infermiera pediatrica morta in un incidente stradale a marzo del 2010, quando la sua Chevrolet Cobalt si era spenta improvvisamente in corsa sulla Highway 9, in Georgia, aveva invaso l’altra corsia e aveva colpito una macchina che viaggiava nella direzione opposta. Due giorni prima dell’incidente Brooke aveva portato la macchina da un concessionario della Contea di Douglas riportando alcuni improvvisi spegnimenti del motore quando la macchina era in corsa; il meccanico non aveva riscontrato malfunzionamenti e non aveva neppure detto niente a Brooke a proposito della raccomandazione contenuta nella circolare di GM relativa ad alcuni modelli di macchine, tra cui la Cobalt di Melton.
Poco dopo l’incidente della figlia, i Melton ricevettero una notifica di richiamo della loro Cobalt da parte di GM, in cui si parlava di un possibile guasto al servosterzo. È a quel punto che decisero di affidarsi a un avvocato, Cooper, al quale Ken Melton disse da subito di essere convinto che ci fosse un guasto meccanico, e non un errore di guida, all’origine dell’incidente della figlia.
A giugno 2011 Cooper fece causa a GM per omicidio colposo e, nell’autunno seguente, richiese a GM le informazioni relative al guasto al servosterzo della Cobalt. Dall’analisi delle informazioni contenute nella scatola nera della macchina, Cooper scoprì che nell’incidente di Brooke Melton l’alimentazione era mancata improvvisamente non soltanto al servosterzo ma anche a tutto il resto della Cobalt. Nel frattempo aveva rivolto la sua attenzione ai comunicati del 2005 di GM ai concessionari, relativi ai difetti al blocchetto di accensione.
L’accusa contro General Motors
In una denuncia rivista e depositata a marzo 2013, Cooper sostenne definitivamente che sulla Cobalt di Melton lo spostamento involontario della chiave nel blocchetto aveva provocato lo spegnimento del motore e quindi la perdita del controllo della macchina e lo scontro mortale con un’altra macchina. Nella denuncia accusava GM di negligenza nella progettazione, nel collaudo e nella produzione delle macchine, e di non aver avvisato adeguatamente i clienti. Su ordine del giudice, ottenne in totale da GM più di 32 mila pagine di rapporti riservati su altri incidenti simili, con l’obbligo di non renderli pubblici, e a settembre 2013 raggiunse per conto dei Melton un accordo economico con GM (di cui non è stato reso noto l’importo).
Cinque mesi più tardi, a febbraio, GM ha annunciato il richiamo in fabbrica di un totale di 1,6 milioni di macchine, tra cui il modello guidato da Brooke Melton. Per conto dei Melton, scrive Bloomberg, Cooper sta seguendo un’altra causa: contro il concessionario della contea di Douglas (la Thornton Chevrolet) che non avvisò Brooke due giorni prima dell’incidente.
In riferimento alla sua causa vinta per i Melton e a proposito della National Highway Traffic Safety Administration, indirettamente coinvolta in questa vicenda, Cooper ha detto: «Questa causa legale è il simbolo della necessità della giustizia civile: la NHTSA sapeva di tutto questo da diversi anni e non è riuscita ad andare a fondo di questa storia».
Il ruolo della NHTSA in questa vicenda
La difficoltà nell’individuare una tendenza nell’enorme quantità di reclami ricevuti ogni anno è già stata in passato un problema per la NHTSA, che alla fine degli anni Novanta – scrive il New York Times – non riuscì a individuare una tendenza ai ribaltamenti in autostrada delle Ford Explorer con gomme Firestone, un tipo di incidente che fu poi collegato alla morte di 271 persone.
Nel 2000 il Congresso ha approvato una legge (Tread Act) che obbliga le case automobilistiche a comunicare alla NHTSA tutte le denunce dei clienti contro presunti guasti o difetti all’origine di incidenti stradali con morti o feriti, in modo che il Dipartimento dei Trasporti non debba soltanto contare sui resoconti degli automobilisti: questa legge dovrebbe agevolare il lavoro degli analisti che in questo modo, per individuare dei difetti comuni ad alcuni tipi di macchine, possono già partire da una selezione preliminare basata sulle marche e sui modelli. Ed è proprio in base a questa legge che di recente la Toyota ha dovuto pagare alla NHTSA una multa da 16,4 milioni di dollari – una altro caso di cui si è parlato molto – per non aver comunicato i casi di incidenti legati a un guasto al sistema di accelerazione su alcuni suoi modelli.
Secondo quanto riportato dal New York Times, in oltre dieci anni (dal 2003 al 2014) i reclami inviati da GM alla NHTSA riguardo le macchine recentemente richiamate in fabbrica non hanno portato ad alcun provvedimento, nonostante gli archivi contengano almeno 78 casi di morti e 1581 feriti in incidenti stradali con macchine di quel tipo.
Gli altri reclami e le altre storie
Viene citato il caso di un reclamo di Barney Frank, un ex membro del Congresso del Massachusetts, che scrisse alla NHTSA nel 2010 e al quale la NHTSA rispose in una lettera che all’interno della loro banca dati non c’erano “prove sufficienti per giustificare l’apertura di un’indagine per difetto di sicurezza”. Eppure all’epoca la NHTSA aveva già ricevuto più di 170 denunce riguardo improvvisi spegnimenti del motore nelle macchine poi richiamate da GM, e in particolare 35 relative alla Cobalt, la macchina cui faceva riferimento Barney Frank.
Tra queste denunce c’era anche quella di una ragazza di Toms River, in New Jersey, che ha raccontato al New York Times di non aver neanche mai ricevuto risposta dalla NHTSA alle due lettere – inviate anche a GM – in cui denunciava che in tre diverse occasioni il motore della sua Cobalt, presa a noleggio con la formula leasing, si era spento improvvisamente, tra cui una volta al centro di un incrocio molto trafficato e un’altra volta in uscita dall’autostrada. Il rivenditore a cui si era rivolta, non rilevando alcun guasto, seguì le indicazioni fornite dalla GM e le raccomandò soltanto di togliere la chiave di accensione dal portachiavi e utilizzarla da sola. Alla fine la ragazza preferì terminare il noleggio rimettendoci un sacco di soldi: «pagheremo, non importa», le disse la madre, «questa macchina è una trappola mortale».
Una delle storie che invece dimostrano la difficoltà di risalire alle cause di alcuni incidenti mortali – che potrebbero tuttavia essere legati al difetto contestato a GM – è quella di una signora di Scranton, Pennsylvania, la cui figlia di 21 anni morì in un incidente stradale il 10 gennaio 2010 mentre guidava una Cobalt del 2005 (è il modello più ricorrente nei racconti degli automobilisti). Secondo la difficile ricostruzione dell’incidente – che negli archivi della NHTSA formalmente non fu inserito tra i casi di arresto involontario e improvviso del motore – la macchina si ribaltò più volte in autostrada, la ragazza fu scaraventata fuori dall’abitacolo e gli airbag non entrarono in funzione: «Dal primo momento in cui ho ricevuto la notizia che mia figlia era morta in un incidente tanto violento senza il coinvolgimento di altre macchine», ha detto la signora, «ho pensato che doveva essersi trattato di un guasto meccanico».
Ad aprile di quello stesso anno, dopo aver inviato una lettera di reclamo alla GM, la madre della ragazza morta nell’incidente ricevette la visita di un ingegnere automobilistico, un perito e un fotografo, che analizzarono la macchina distrutta e prelevarono la scatola nera, che da allora non è stata più riconsegnata nonostante le richieste della signora, e nonostante il fatto che le policy di GM impongano all’azienda la restituzione di qualsiasi parte delle macchine (anche la scatola nera). La signora ricevette dalla NHTSA una lettera di risposta in cui l’agenzia confermava semplicemente di aver ricevuto il reclamo. Dalla GM ricevette invece un incomprensibile rapporto sul malfunzionamento dell’airbag.
Come detto, non è facile stabilire se e quanti altri reclami siano riconducibili allo stesso difetto ma appare piuttosto chiaro, secondo il New York Times, che nel corso degli anni questo genere di casi sia stato sottovalutato anche dalla NHTSA.
La versione della NHTSA
Contattata dal New York Times, la NHTSA ha ribadito che manca una mole critica di prove sufficienti che evidenzino negli anni una tendenza piuttosto che dei casi isolati. Negli ultimi sette anni, ha detto un portavoce, le indagini della NHTSA in altri casi hanno portato al richiamo in fabbrica di più di 55 milioni di macchine di diverse marche, e che 260 reclami – quelli legati al difetto delle macchine richiamate da GM – corrispondono a circa lo 0,018 per cento delle vetture complessivamente richiamate in fabbrica.
Frank Borris, direttore dell’agenzia, ha detto che non esiste una “formula magica” per capire quando esiste una regolarità negli incidenti e quando no: da due anni la NHTSA utilizza un software della IBM che serve a rintracciare tendenze all’interno di enormi quantità di dati (i cosiddetti big data), e ogni decisione viene presa da tecnici con molta esperienza e con il supporto di diversi strumenti tecnologici. Il capo consulente della NHTSA ha detto che per avviare un’indagine il caso deve superare un test di “rischio irragionevole (unreasonable) per la sicurezza”, e che l’aggettivo “ragionevole” è un termine legale che può voler dire un sacco di cose differenti a seconda dei contesti e in ciascun caso analizzato.