La storia di Cervo Bianco
Massimo Novelli racconta su Repubblica la storia di Edgar Arthur Laplante, che nell'Italia fascista degli anni Venti si finse un capo indiano
Domenica 16 marzo Massimo Novelli ha raccontato su Repubblica la storia di Edgar Arthur Laplante, un cittadino americano che nell’Italia degli anni ’20 si finse un capo indiano della tribù – realmente esistente – dei Tuscarora. Conosciuto con il nome di “capo Cervo Bianco”, o Tewanna Ray, frequentò per anni i principali salotti europei, facendosi amici e, spesso, truffando attori del cinema, nobili e gerarchi fascisti. Sulla storia di Laplante sta girando un documentario il regista Beppe Leonetti.
Si ricordava Cristoforo Colombo e la sua impresa. Era un 12 di ottobre, dunque. Cadeva l’anno 1926. La condanna a cinque anni, sette mesi e quindici giorni di reclusione venne pronunciata dal tribunale di Torino anche se, come scrisse La Stampa, «ieri, anniversario della scoperta dell’America, gli uffici del Palazzo di Giustizia e le aule giudiziarie furono chiusi ». Fece eccezione, notò con perfidia il giornale, «quest’aula della VII Sezione, perché il Tribunale ha rinunciato alla celebrazione dell’America per liquidare in giornata questo americanofenomeno ». Oltre alla condanna per truffa nei confronti della contessa austriaca Melania Khevenhüller, alla quale aveva sottratto un milione di lire, l’altra sola certezza era che l’imputato Edgar Arthur Laplante, meglio noto come presunto principe pellerossa White Elk (Cervo Bianco) o Tewanna Ray, veniva da oltre oceano. Era nato nel 1888 a Rhode Island, nel Canada, da un muratore canadese e da una nativa americana. Tutto il resto, a cominciare dal sangue principesco della tribù dei Tuscarora, apparteneva all’universo della congettura ed era materia da teatro di Luigi Pirandello, viaggiando sul labile confine fra verità e finzione, realtà e illusione.
Sicura era pure la caduta, dopo l’ascesa. Cervo Bianco-Laplante aveva spopolato nei teatri, nei cinema, nei salotti e negli alberghi di lusso di mezzo mondo,approdando in Italia giusto novant’anni fa, nel 1924. Frequentò aristocratici e industriali, ma anche gerarchi e capi del fascismo si fecero sedurre dal fascino selvaggio dell’uomo venuto dal West: gli diedero la tessera onoraria del Partito. Di aspetto piacevole, faceva il cantante e il ballerino, ma soprattutto in Europa s’improvvisò mecenate, presumibilmente più con denaro altrui, e si disse rappresentante degli interessi degli indiani irochesi. Ma da quel 12 ottobre del ’26 la casa di Cervo Bianco sarebbe stata a lungo una cella delle carceri Nuove di Torino. Fu lì che conobbe il giovane Massimo Mila, grande musicologo, detenuto per attività antifasciste, che avrebbe poi ricordato come Laplante non avesse nemmeno i soldi per comprarsi il tabacco.
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