Un mese di caos in Venezuela
Le proteste contro il governo e gli scontri continuano, il numero dei morti è salito a 28, giovedì un'altra città è stata in parte militarizzata dall'esercito
Giovedì diversi quartieri borghesi della città di Valencia, capitale dello stato di Carabobo e terza città per abitanti del Venezuela, sono stati oggetto di un’incursione dell’esercito venezuelano. All’alba i militari hanno circondato le case di diversi oppositori, accusati di essere dei cecchini e attivisti nelle proteste anti-governative, e hanno compiuto alcuni arresti. Poche ore prima il presidente Nicolás Maduro aveva promesso “misure drastiche” per placare le proteste che si sono sviluppate nel paese a partire dal 12 febbraio scorso e che da allora, secondo fonti ufficiali venezuelane, hanno fatto 28 morti.
La “militarizzazione” di alcuni quartieri di Valencia è arrivata un giorno dopo ai violenti scontri di mercoledì, dove altre tre persone sono rimaste uccise (due manifestanti e un membro della Guardia Nazionale). Il governatore dello stato di Carabobo, Francisco Ameliach – ex ufficiale dell’esercito venezuelano e collaboratore dell’ex presidente Hugo Chávez – ha detto in televisione che tutte le morti sono state provocate da cecchini appostati sugli edifici lì attorno: secondo Ameliach volevano prendere di mira una manifestazione di lavoratori filo-governativi appartenenti al settore automobilistico che sarebbe passata da lì a poco nella zona in cui ci sono stati i morti (le autorità, saputo della presenza dei cecchini, avrebbero fatto deviare la manifestazione per un percorso alternativo).
Mercoledì e giovedì ci sono state proteste piuttosto violente anche a Caracas, la capitale del Venezuela, a cui sono seguiti scontri tra i manifestanti anti-governativi e la Guardia Nazionale venezuelana.
Giovedì il segretario di stato americano, John Kerry, ha criticato molto duramente il presidente Maduro, dicendo che il governo del Venezuela deve mettere fine alla sua «campagna di terrore contro i suoi cittadini». Kerry ha anche chiesto all’Organizzazione degli Stati Americani (OSA, organizzazione regionale che comprende i 35 stati indipendenti delle Americhe) di prendere una posizione chiara sul tema delle proteste, spingendo Maduro a essere più responsabile riguardo la repressione della polizia sui manifestanti. Il governo venezuelano è invece tornato a criticare gli Stati Uniti per sostenere i “fascisti” che vogliono portare a termine un colpo di stato contro il presidente. I rapporti tra i due paesi sono diventati molto tesi dall’inizio delle proteste: il Congresso statunitense potrebbe per esempio valutare la possibilità di imporre delle sanzioni contro il Venezuela, mentre il mese scorso tre diplomatici americani sono stati dichiarati “persona non-grata” e accusati di cospirare insieme ai manifestanti.
Le manifestazioni – le più grandi tenute nel paese dalla morte dell’ex presidente Hugo Chávez, il 5 marzo 2013 – sono iniziate a San Cristóbal, la capitale dello stato di Táchira, e si sono poi diffuse in tutto il paese, anche a Caracas: stanno mettendo in luce i fallimenti delle politiche adottate dal partito socialista venezuelano (PSUV) negli ultimi 15 anni, rimasti nascosti almeno in parte grazie alla popolarità e al carisma di Chávez e alle entrate del settore petrolifero. I problemi più grandi del Venezuela, che sono anche i discussi temi da cui sono nate le proteste, sono quattro: la mancanza di sicurezza (la violenza in Venezuela ha raggiunto livelli altissimi, a Caracas si muore in media più che a Baghdad); la scarsità di molti beni di prima necessità e un’inflazione che supera il 50 per cento; i continui blackout durante i quali si ferma un po’ tutto e che possono durare anche più di 24 ore; e le politiche illiberali del governo, tra cui l’incarcerazione dei leader delle opposizioni, la chiusura di canali televisivi e il controllo sui giornali locali.