Vi ricordate di Kony?
Che ne è stato dell'organizzazione che realizzò il popolare e discusso documentario sul ribelle ugandese, nonché del ribelle ugandese oggetto della campagna
Nel marzo del 2012 per alcune settimane si parlò moltissimo online del ribelle ugandese Joseph Kony, del suo esercito (il Lord’s Resistance Army, LRA) e del problema dei bambini soldato: dal 1987 al 2006 il LRA ha rapito e arruolato circa 20.000 bambini. La questione raggiunse una grande popolarità online grazie a un documentario pubblicato su Youtube, “Kony 2012”, che fu visto in 6 giorni da 100 milioni di persone in tutto il mondo. Oltre a spiegare a mezzo mondo chi fosse Joseph Kony e quali fossero i suoi crimini, il documentario generò anche alcune critiche verso i suoi produttori – un’organizzazione chiamata “Invisible Children” – e l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica sulla vicenda si esaurì dopo che il suo regista, Jason Russell, ebbe una violenta crisi nervosa a San Diego. In questi giorni, a distanza di due anni, un lungo articolo di Buzzfeed ha raccontato cosa ne è stato di “Invisible Children”, l’associazione che aveva prodotto il documentario, e di Joseph Kony, di cui pochi si sono occupati da allora.
La campagna “Kony 2012”
Lo scopo del documentario “Kony 2012” era “rendere Kony famoso” così da costringere la comunità internazionale a catturarlo: il tutto tramite una campagna che, nelle intenzioni degli ideatori del documentario, avrebbe dovuto culminare la notte del 20 di aprile dello stesso anno in un’azione collettiva, denominata Cover the night, per attaccare poster di Kony sui muri delle maggiori città del mondo. La grandissima popolarità del video attirò diverse critiche verso Invisible Children e, in particolare, verso uno dei suoi dirigenti, Jason Russell, che del documentario era anche voce narrante e protagonista. In molti accusarono l’associazione di poca trasparenza finanziaria, di spendere più soldi per produrre e pubblicizzare documentari piuttosto che per aiutare concretamente i bisognosi ugandesi, oltre che di semplificare eccessivamente la questione ugandese (con una netta divisione buoni/cattivi) per fini pubblicitari e di raccolta fondi.
Invisible Children per molti versi non era pronta a un così enorme successo e a tutto quello che ne conseguì, critiche incluse. Il 20 aprile quasi nessuno partecipò all’azione collettiva, che passò del tutto inosservata. Tutta la storia diventò per l’organizzazione un’arma a doppio taglio. Da un lato la campagna le valse diversi milioni di dollari in donazioni, portò l’attenzione dell’opinione pubblica sulla questione ugandese, contribuì alla decisione del governo statunitense di aumentare il proprio impegno militare in Uganda e a quella di istituire un fondo di 5 milioni di dollari per ricompensare informazioni che portassero alla cattura di Kony. Dall’altro lato, le critiche lasciarono più di un segno nell’immagine pubblica dell’associazione, che ne uscì pesantemente screditata. L’episodio cruciale per l’associazione, tuttavia, fu un altro: dopo settimane di grande stress fisico e psicologico, Jason Russell, la cui onestà intellettuale era stata messa in discussione nelle settimane precedenti, fu protagonista di un episodio spiacevolmente famoso: durante una grave crisi nervosa uscì in strada completamente nudo e urlando frasi senza senso. La polizia lo arrestò, tutta la scena fu filmata con un cellulare e il video fu ripreso dai media di mezzo mondo. Dopo questo episodio l’attenzione mediatica su tutta la storia svanì in poche settimane: in un certo senso fu come se i media si resero conto “di aver esagerato” e decisero di mollare la presa.
Cosa ne è stato di Invisible Children?
Invisible Children esiste ed è ancora attiva, anche se non con il successo di qualche anno fa. Nel 2012, subito dopo la campagna su Kony, le entrate dell’associazione raggiunsero i 26 milioni di dollari (circa 18 milioni di euro): Invisible Children aveva a quel punto 65 impiegati a San Diego e 130 in Africa. Solo un anno dopo, nel 2013, le entrate erano scese a meno di 5 milioni di dollari, il personale di San Diego era sceso a 29 unità e quello in Africa a 108. Anche le strategie di raccolta fondi dell’associazione nel tempo sono cambiate. Come ha spiegato Ben Keesey, CEO di Invisible Children:
«Prima la gente ci diceva: “Ottimo lavoro! Voi ragazzi siete un’ispirazione, continuate così, crediamo in voi” e ora, invece, le cose sono cambiate: “Siete dei bugiardi, una fabbrica di truffe, rubate i soldi.»
Se prima la fonte di finanziamento principale di Invisible Children erano le donazioni private e i proventi della vendita dei film, dei documentari e degli altri prodotti, oggi i donatori non sono abbastanza per coprire i circa 6,5 milioni di dollari necessari per sostenere le attività dell’organizzazione. Oggi l’associazione si finanzia prevalentemente grazie ad alcuni grandi donatori e filantropi e ai fondi pubblici per la cooperazione internazionale.
L’attività di Invisible Children si è comunque pesantemente ridotta, come ha spiegato Chris Carver, un dirigente dell’associazione: «sarebbe da stupidi, nonché uno spreco di tempo, prenderci in giro e pensare che riusciremo a convincere il mondo che le cose sono diverse da quello di cui sono convinti». Più in generale secondo Jason Russell, che dopo alcuni mesi di riposo e terapia è tornato a fare il direttore creativo di Invisible Children, il problema è che i modi di “vendere” al pubblico il problema di Kony e del LRA sono finiti: «in quanti diversi modi puoi tagliare la torta? In quanti modi puoi affrontare il conflitto dell’Uganda trovando un modo fresco e interessante di presentarlo?». Nonostante Invisible Children abbia sempre difeso le sue ingenti spese per la produzione e la promozione dei documentari, inoltre, negli ultimi anni la proporzione di soldi spesi in questo tipo di attività e in aiuti diretti per l’Uganda è cambiata molto. Se prima del 2012 la percentuale di soldi spesi da Invisible Children negli Stati Uniti era sempre maggiore o uguale a quella di soldi spesi in Uganda, ora la cosa è invertita: l’anno passato dei 12 milioni di dollari spesi dall’associazione, 4 sono stati spesi negli Stati Uniti e 8 sono stati spesi per i vari programmi che l’associazione cura in Uganda: principalmente borse di studio per bambini e microprestiti.
E Kony che fine ha fatto?
Già nel 2012, quando uscì il documentario, Kony e il LRA non si trovavano più in Uganda: dopo diversi anni di guerra, già dal 2006 le forze governative ugandesi erano riuscite a cacciare i ribelli verso gli stati limitrofi e il conflitto nel nord del paese si era placato (anche questo fatto era stato causa di molte critiche al documentario). Secondo il governo ugandese, nel 2012 il Lord’s Resistence Army era un gruppo “pesantemente ferito” e il cui numero di soldati non superava le 300 unità. Oggi l’attività del LRA si concentra soprattutto nella Repubblica Centrafricana e nella Repubblica Democratica del Congo; nel 2013, tuttavia, l’esercito dell’Unione Africana ha comunicato di aver sospeso la caccia a Joseph Kony poichè dopo il colpo di Stato in Repubblica Centrafricana mancavano le “condizioni politiche” per proseguire la ricerca. Secondo molti osservatori anche l’impegno militare degli Stati Uniti nella zona potrebbe presto ridursi; Invisible Children sta facendo pressione sul Senato degli Stati Uniti affichè gli sforzi continuino fino alla totale sconfitta del LRA.