La legge elettorale e le donne

In cosa consiste la questione sulla rappresentanza di genere di cui si discute da qualche giorno, senza che i partiti – o gli uomini? – riescano a mettersi d'accordo

Giovedì 6 marzo è proseguito alla Camera l’esame della nuova legge elettorale, con la discussione di diversi emendamenti e subemendamenti riferiti all’articolo 1. L’esame della legge non è però terminato ed è stato rimandato alla prossima settimana, quando si prevede si terrà anche il voto finale.

Un emendamento in particolare – o meglio una serie di emendamenti, come vedremo – ha causato diverse discussioni nelle ultime ore: quello che riguarda l’introduzione della cosiddetta “rappresentanza di genere obbligatoria”, ovvero norme che garantiscano un numero di donne nelle liste elettorali pari o proporzionale a quello degli uomini. È una questione su cui negli scorsi anni sono state avanzate moltissime proposte e che ritorna ciclicamente nel dibattito politico italiano (con il nome alternativo di “quote rosa”).

Gli emendamenti
Nella discussione sulla legge elettorale alla Camera sono state presentate diverse proposte di emendamento riguardo la parità di genere. Una prevede che le liste dei candidati siano composte per metà da uomini e per metà da donne, un’altra che i capilista siano necessariamente divisi al 50 per cento tra uomini e donne e una terza invece il 60 per cento di uomini e il 40 per cento di donne. Alcune sono state presentate dalla deputata del PD Roberta Agostini, responsabile per le pari opportunità del partito, e hanno ricevuto anche le firme di alcune deputate di Forza Italia come Mara Carfagna e Micaela Biancofiore: c’è insomma un sostegno che sembra superare gli schieramenti partitici e unire molte deputate di partiti diversi.

Un altro emendamento, presentato dal capogruppo del gruppo misto Pino Pisicchio, è stato bocciato giovedì 6 marzo con 236 voti favorevoli e 278 contrari: prevedeva l’introduzione di un sistema di “doppia preferenza di genere” simile a quello che esiste già oggi per alcuni comuni italiani (ci arriviamo).

Mercoledì 5 marzo, quando è cominciata la discussione sulla legge elettorale, una trentina di emendamenti sono stati rimandati al giorno successivo, perché ne discutesse prima di arrivare in aula il cosiddetto “comitato dei nove” – cioè un gruppo di deputati che esamina gli emendamenti per conto delle singole commissioni parlamentari. Tre di questi emendamenti riguardavano la parità di genere, e il giorno successivo il comitato dei nove ha deciso di rinviare la questione perché nella maggioranza che sostiene l’accordo sulla legge elettorale – cioè PD, NCD, Scelta Civica e Forza Italia – non c’era una posizione condivisa. Il partito più contrario alla misura sembra essere Forza Italia: giovedì 6 marzo un articolo critico sulla questione è stato pubblicato sul Mattinale, il mezzo di informazione del gruppo alla Camera.

La deputata di SEL Titti Di Salvo ha scritto sul suo blog che il voto sugli emendamenti accantonati dal comitato dei nove si terrà probabilmente lunedì prossimo.

L’appello
Nella serata di giovedì 6 marzo, una novantina di deputate dei partiti che sostengono l’accordo sulla legge elettorale (PD, Forza Italia, Nuovo Centrodestra e i due gruppi in cui si è divisa Scelta Civica) hanno firmato e pubblicato un appello ai leader dei loro partiti perché sostengano gli emendamenti sulla parità di genere.

Lo stesso giorno si è tenuta una riunione tra la presidente della Camera Laura Boldrini e alcune deputate, tra cui Titti Di Salvo di SEL, Dorina Bianchi di NCD e Roberta Agostino del PD: Boldrini ha detto di sostenere i progetti di emendamento della legge elettorale.

 

Le donne al Parlamento italiano
Nel Parlamento italiano eletto a febbraio 2013 ci sono 198 donne su 630 deputati e 92 su 317 senatori, rispettivamente il 31 e il 29 per cento. Nella classifica mondiale della rappresentatività femminile in Parlamento ce la caviamo maluccio e siamo al 31esimo posto: ma è una classifica che presenta diversi dati inattesi, tra cui il fatto che paesi come Stati Uniti, Regno Unito, Svizzera, Francia e Canada siano messi peggio di noi – a volte molto peggio: negli Stati Uniti le percentuali delle due camere sono intorno al 20 per cento – e quello che nei primi dieci posti ci siano quattro nazioni africane.

Il principio delle cosiddette “pari opportunità” è stato introdotto anche con una recente modifica alla Costituzione, che nel maggio 2003 ha introdotto all’articolo 51 la frase «la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». Nel novembre 2012 è stata approvata una legge che prevede alcune norme per la rappresentanza di genere nella vita politica, in particolare nelle amministrazioni locali: in tutti i comuni con più di cinquemila abitanti, le liste per l’elezione in consiglio comunale non possono contenere più di due terzi dei candidati dello stesso sesso. Oltre a questo, è stata introdotta la cosiddetta “doppia preferenza di genere”, che permette all’elettore di esprimere due preferenze nel caso in cui vadano a due persone di sesso diverso.

Per le elezioni politiche, invece, una delle poche norme che attualmente prova a garantire un maggior equilibrio tra uomini e donne prevede che il finanziamento ai partiti sia ridotto del 5 per cento dei contributi per i partiti che presentano un numero di candidati dello stesso sesso superiore ai due terzi del totale: per questo si legge a volte che la legge prevede già oggi che le liste siano compilate secondo il principio della successione di due uomini e una donna.