Un’altra bambina “curata” dal virus HIV
È il secondo caso dopo quello annunciato nel 2013: presto sarà avviato un test clinico per scoprire se il sistema per contrastare il virus che causa l'AIDS funziona davvero
Nel corso della 21esima “Conferenza sui retrovirus e sulle infezioni opportunistiche” (CROI) che si conclude giovedì 6 marzo a Boston, è stato annunciato che un gruppo di medici e ricercatori ha “curato” una seconda bambina affetta da HIV, il virus che causa la sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). Alla CROI del 2013 era stato presentato il primo caso al mondo di una bambina “curata” dall’AIDS: le virgolette sono necessarie perché si attende ancora l’avvio di uno studio clinico su un maggior numero di pazienti. La vicenda un anno fa suscitò l’interesse della comunità scientifica e con la recente notizia di un nuovo caso se ne è tornato a parlare.
Il New York Times spiega che la seconda bambina è nata nove mesi fa presso l’ospedale pediatrico Miller di Long Beach, in California. La madre, affetta dal virus dell’HIV e con una malattia mentale, arrivò alla struttura sanitaria mentre aveva già le doglie. I medici in precedenza le avevano prescritto medicinali da assumere per ridurre la possibilità di trasmettere il virus alla bambina, ma la paziente non li aveva utilizzati. Quattro ore dopo la nascita della bambina e dopo avere effettuato un esame del sangue, la pediatra che l’aveva in cura ha avviato un trattamento intensivo utilizzando tre diversi farmaci (AZT, 3TC e nevirapina) contro il virus dell’HIV.
Di solito per il trattamento preventivo si utilizzano due soli farmaci a basse dosi, ma la pediatra ha spiegato di aver dovuto valutare in breve tempo che cosa potesse essere peggio tra gli eventuali effetti collaterali dei medicinali e quelli dovuti all’AIDS. Ha raccontato di avere preso la decisione ricordandosi del caso illustrato l’anno scorso al CROI: “Sapevo che se vuoi prevenire l’infezione un trattamento precoce è fondamentale”.
La bambina ora è in affidamento e sta bene, ma è presto per dire se sia stata effettivamente “curata” e se la malattia sia in remissione, perché sta ancora assumendo il cocktail di farmaci. Sono stati condotti diversi esami del sangue molto accurati, però, senza trovare traccia del virus HIV o indizi sulla sua possibilità di replicarsi, cosa che fa pensare che la bambina sia ora sieronegativa.
Semplificando, l’HIV si mantiene spesso in uno stato dormiente in aree nascoste degli organismi che ha infettato, zone irraggiungibili dai farmaci. Se trova la strada libera, in assenza di farmaci, emerge e inizia a replicarsi causando seri danni all’organismo. Da tempo diversi ricercatori teorizzano che con un trattamento farmacologico adeguato, nei primissimi tempi dopo il contagio, è possibile impedire al virus di creare le sue riserve nascoste e di conseguenza fermare la malattia. Rilevare queste riserve non è però facile, e anche da questo dipende l’incertezza sull’esito della “cura” della bambina.
I due casi fino a ora accertati non sono comunque sufficienti per arrivare a qualche solida conclusione sul trattamento intensivo con farmaci poco dopo la nascita. Per questo motivo a breve sarà avviato un test clinico che coinvolgerà circa 60 neonati tra gli Stati Uniti, il Sudafrica e il Brasile. Ai pediatri e agli ostetrici delle strutture sanitarie sarà richiesto di segnalare i neonati da madri sieropositive che non hanno assunto i farmaci per evitare la trasmissione del virus al loro figlio durante la gravidanza. A questi neonati saranno somministrati da subito i tre farmaci, prima ancora di avere gli esiti del test del sangue sulla loro effettiva sieropositività.
La bambina del caso precedente, quello del 2013, ha oggi più di tre anni e dai suoi esami non è stata riscontrata la presenza del virus che causa l’AIDS. Secondo i ricercatori ci potrebbero essere già stati altri cinque casi analoghi in Canada e tre in Sudafrica, ma sono necessarie altre conferme cliniche. Il test sui 60 neonati richiederà diversi anni per essere completato, perché occorre seguire la crescita dei bambini per verificare che il virus non emerga in un secondo momento. Se i test daranno esito positivo, si potrebbe avviare un protocollo di cura per trattare i circa 250mila bambini che ogni anno nascono infettati dal virus dell’HIV in giro per il mondo.
foto: Una bambina di cinque giorni dorme tra le braccia della madre, vicino ad alcuni medicinali assunti dalla madre e somministrati alla neonata per contrastare il virus dell’HIV – Paarl, Sudafrica, 2002
(ANNA ZIEMINSKI/AFP/Getty Images)