Continuano gli scontri in Venezuela
Anche nel giorno del primo anniversario della morte di Chávez, migliaia di persone hanno protestato contro il presidente Maduro
Da circa un mese, e negli ultimi giorni in particolare, sono in corso in Venezuela proteste e scontri molti violenti tra polizia e manifestanti che si oppongono alle politiche del presidente socialista Nicolás Maduro: sebbene l’attenzione dei media internazionali si stia prevalentemente concentrando sulla crisi in Ucraina, si calcola che dall’inizio di febbraio gli scontri in Venezuela abbiano provocato la morte di almeno 18 persone e che da Caracas si siano estesi a quartieri e città che finora non erano stati interessati dalle proteste.
La settimana scorsa il presidente Maduro ha annunciato dieci giorni di celebrazioni in onore di Hugo Chávez a partire da ieri, mercoledì 5 febbraio, giorno del primo anniversario della morte dell’ex presidente venezuelano. Ciononostante migliaia di persone continuano a protestare da giorni per le strade di Caracas, e alcuni gruppi anche in modo piuttosto violento.
Il presidente Maduro ha chiesto ai venezuelani di onorare “l’eterno comandante” in “pace” e “con amore”, e anche alcuni leader dell’opposizione hanno chiesto ai manifestanti un giorno senza proteste in segno di rispetto. Alle celebrazioni in onore di Chávez hanno partecipato anche il presidente di Cuba Raul Castro, il presidente boliviano Evo Morales e il presidente del Nicaragua Daniel Ortega. Finora non ci sono state interferenze perché le proteste stanno avvenendo principalmente nella parte orientale di Caracas mentre le manifestazioni governative si sono svolte in quella occidentale.
Caracas non è la sola zona interessata dalle proteste: a San Cristóbal – la capitale dello stato di Táchira, vicino al confine con la Colombia – è in atto una vera e propria guerriglia urbana che si sta progressivamente trasformando in una specie di normalità. In un articolo del New York Times del 25 febbraio scorso si raccontava che ormai ogni mattina, invece che andare al lavoro e portare i figli a scuola, gli abitanti di alcuni quartieri hanno preso l’abitudine di accatastare massi da lanciare contro la polizia, costruire barricate e fabbricare bombe molotov. Nelle ultime settimane Leopoldo López, leader emergente di un partito dell’opposizione, ha detto che nello stato di Táchira – sostanzialmente militarizzato dal 19 febbraio scorso – è in atto una “repressione” da parte del governo.
I motivi delle proteste sono da ricercare sostanzialmente nell’aumento della criminalità e nella mancanza di sicurezza, oltre che nella grave crisi economica che sta attraversando il Venezuela: l’inflazione supera il 50 per cento, e i critici del governo rimproverano a Maduro di avere impostato politiche economiche sbagliate verso i paesi importatori di petrolio (il Venezuela è uno dei più grandi esportatori di petrolio al mondo). Gli esponenti politici dell’opposizione hanno anche più volte denunciato il modello dittatoriale del governo di Maduro e le politiche illiberali che hanno portato all’incarcerazione dei leader delle opposizioni, alla chiusura di canali televisivi e al controllo sui giornali locali.
Tuttavia diversi commentatori trovano improbabile – anche a causa di una certa confusione negli stessi partiti dell’opposizione – che le proteste possano portare in tempi rapidi a un indebolimento della posizione di Maduro, che gode ancora del consenso delle fasce più povere del paese.