Il Regno Unito venderà permessi di soggiorno?
Si discute di una proposta che riguarderebbe solo gli stranieri molto facoltosi, e in numero limitato, con l'obiettivo di attrarre investimenti e donazioni
Il governo britannico sta valutando di mettere all’asta e vendere ai migliori offerenti un numero limitato di permessi di soggiorno a tempo indeterminato in Regno Unito. La conferma è arrivata da alcuni esponenti del comitato consultivo dell’ufficio immigrazione (Migration Advisory Committee, MAC) che hanno spiegato al Guardian che la proposta riguarderebbe un numero limitato di visti di tipo Tier 1 – quelli che permettono di risiedere nel Regno Unito a tempo indeterminato – per i quali gli investitori milionari stranieri potranno far un’offerta.
David Metcalf, presidente del comitato, ha detto che «alcuni penseranno “non è una cosa terribile vendere i permessi di soggiorno?”: beh, è sempre meglio che darli via come stiamo facendo adesso». Il Guardian spiega che al momento ottenere il visto Tier 1 – destinato prevalentemente a investitori, imprenditori e persone di particolare talento – è diventato una scorciatoia utilizzata da ricche famiglie russe, cinesi e mediorientali per risiedere permanentemente nel Regno Unito. L’attuale procedura permette ai singoli individui facoltosi di accelerare le pratiche di ingresso e ottenere un permesso di soggiorno in due o cinque anni a seconda del loro investimento. Come riporta il quotidiano britannico The Independent, oggi chi fa richiesta per questo tipo di permesso paga da 1 milione a 10 milioni di sterline: chi ne paga 10 ottiene in soli due anni il permesso di soggiorno senza limiti di tempo. Con la nuova proposta la “vendita” sarebbe formale e ufficiale, tramite un’asta.
La nuova proposta del comitato prevede che circa 100 permessi per investitori “premium”, messi all’asta ogni anno, ricevano offerte “a busta chiusa” a partire da un minimo di 2,5 milioni di sterline (poco più di 3 milioni di euro), che dovranno essere investite dagli offerenti in infrastrutture o obbligazioni. Gli offerenti dovrebbero anche devolvere 500 mila sterline in donazioni – per esempio nella ricerca medica, dice Metcalf – e l’attuale somma minima di un milione di sterline necessaria per avviare le pratiche sarebbe in ogni caso portata a due milioni. In compenso gli investitori “premium” avrebbero un percorso facilitato e più rapido per ottenere il diritto di risiedere in Regno Unito, oltre che il certificato di residenza.
Le richieste per i permessi Tier 1 – che non obbligano i richiedenti a conoscere l’inglese né ad avere un lavoro – sono oggi circa 600 all’anno. Le preoccupazioni riguardo a questa tendenza erano emerse fin da dicembre 2012, quando il ministero dell’Interno aveva annunciato che i capitali di investimento tenuti in depositi off-shore non potevano comunque essere utilizzati per finanziare attività nel Regno Unito. È inoltre cresciuta nel tempo la consapevolezza che parte degli investimenti sono stati spesso impiegati in forme che non hanno apportato alcun vantaggio diretto all’economia inglese.
Secondo Metcalf la nuova proposta dovrebbe funzionare come meccanismo per riequilibrare i prezzi di mercato: «ora come ora gli inglesi ottengono molto poco e gli investitori stranieri moltissimo», ha detto, sostenendo anche che mettere all’asta i permessi con un sistema del genere, che obblighi gli stranieri molto facoltosi a investire in ricerca, scuola o sanità, non significherebbe “vendere” passaporti.
Diversi consulenti legali inglesi specializzati in diritto dell’immigrazione hanno però criticato questa proposta, segnalando che già in passato il ministero dell’Interno aveva rigettato simili iniziative e che un approccio di questo tipo potrebbe produrre una sorta di “cultura eBay”, che se accostata a un argomento delicato come i permessi di soggiorno potrebbe risultare piuttosto impopolare tra i cittadini britannici.