Il caso delle intercettazioni in Turchia
Secondo due giornali esiste un programma per tenere sotto controllo giornalisti e politici, compreso Erdoğan: è l'ultima puntata dello scontro di questi mesi tra governo e magistratura
Lunedì 24 febbraio due giornali turchi filo-governativi, Star e Yeni Şafak, hanno pubblicato due inchieste – simili ma realizzate separatamente – riguardanti un presunto programma di intercettazioni che avrebbe avuto come obiettivo anche funzionari molto importanti del partito di governo turco, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), tra cui il primo ministro conservatore Recep Tayyip Erdoğan. Secondo i due quotidiani, i documenti che dimostrerebbero l’esistenza di questo programma sono stati trovati nell’ufficio del procuratore generale di Istanbul, che però ha negato di avere ordinato le intercettazioni. Nel frattempo è stata avviata un’indagine interna alla magistratura, ma la questione rimane molto difficile da decifrare, soprattutto perché da dicembre del 2013 un pezzo importante del partito di Erdoğan è coinvolto in un’inchiesta molto complessa di corruzione e appalti e in un più grande scontro tra poteri, e da allora i rapporti tra governo e magistratura sono notevolmente peggiorati.
Star e Yeni Şafak sostengono che le intercettazioni hanno preso di mira migliaia di persone, tra cui funzionari del governo e dell’AKP – come il capo dell’intelligence nazionale Hakan Fidan, il ministro dell’Energia Taner Yıldız, il vicecapo di AKP Numan Kurtulmus – e molti giornalisti, intellettuali, uomini d’affari, organizzazioni non governative, e anche il CEO della Turkish Airlines, Temel Kotil. I numeri forniti dai due giornali sono però diversi: mentre Yeni Şafak parla di 3.064 persone intercettate, secondo Star il numero reale si aggirerebbe attorno alle 7.000. Il viceprimo ministro Bülent Arınç ha confermato l’esistenza dei documenti, specificando che le autorità stanno indagando su 2.280 numeri telefonici che farebbero parte del programma di intercettazioni che andava avanti da tre anni.
Secondo i due quotidiani turchi, le intercettazioni sarebbero state uno strumento usato all’interno di un’indagine su un’organizzazione terroristica di nome “Selam”. Il procuratore di Istanbul responsabile dell’indagine, Adnan Çimen, ha negato che i nomi riportati dalla stampa siano contenuti nei documenti relativi all’indagine “Selam” e ha detto che si tratta solo di “falsità”. Poi ha aggiunto: «È possibile intercettare 7mila persone? [Fare una tale affermazione] è una mancanza di dignità. L’indagine che ho condotto è stata un’indagine ordinaria su un’organizzazione criminale».
La questione delle intercettazioni è molto complicata e si inserisce nel più ampio scontro tra Erdoğan e magistratura che si è intensificato dal dicembre scorso. Le rivelazioni sono emerse infatti dopo che molte conversazioni telefoniche tra Erdoğan e diversi media e rappresentanti di imprese turche sono diventate di dominio pubblico, mettendo in imbarazzo il governo: per esempio, nell’ultima intercettazione diffusa lunedì 24 febbraio su YouTube – la cui autenticità non è stata però confermata – Erdoğan direbbe al figlio minore Bilal di “far sparire vari milioni di euro” nascosti nelle case dei parenti, per proteggersi dal grande scandalo di corruzione che ha coinvolto, tra gli altri, anche lo stesso Bilal. Secondo Erdoğan il responsabile di questa campagna contro di lui e il suo partito è Fethullah Gülen, influente studioso turco residente negli Stati Uniti e fondatore del movimento Hizmet (“servizio”), un movimento islamista turco che comprende diversi esponenti della magistratura, che avrebbe orchestrato l’intera operazione allo scopo di indebolire il governo. Lo scontro tra Erdoğan e Gülen, alleati politici fino a pochi mesi fa, è iniziato proprio con l’avvio della complessa indagine per corruzione che ha colpito diversi importanti membri del governo.
Ci sono quindi alcuni motivi per usare una certa prudenza. Il fatto che l’esistenza dei documenti sulle intercettazioni sia stata rivelata solo da due quotidiani filo-governativi è significativo, specialmente in un paese come la Turchia che recentemente è stata molto criticata per avere adottato politiche piuttosto restrittive della libertà di stampa (l’ultimo provvedimento risale ai primi di febbraio, quando il parlamento turco ha approvato una legge che dà al ministero delle Comunicazioni la possibilità di bloccare contenuti online ritenuti illegali o che violino la privacy di qualcuno, il tutto senza l’autorizzazione di un giudice). Inoltre il recente e durissimo scontro tra AKP e magistratura fa pensare che l’esistenza di intercettazioni contro membri del governo possa essere manipolabile e strumentale allo scontro tra poteri in corso.