Anish Kapoor vuole ricomprare le opere che gli commissionò il comune di Napoli
Uno dei più grandi scultori al mondo vuole avere indietro le opere realizzate per una stazione mai completata, oggi in un deposito
Anish Kapoor è uno dei più famosi scultori contemporanei: il primo artista vivente a cui la Royal Academy of Arts di Londra abbia dedicato una mostra personale, nel 2009, nonché l’autore del progetto di “The Orbit”, una grande scultura a Londra. Kapoor nel 2003 disegnò su mandato del comune di Napoli la stazione della metropolitana di Monte Sant’Angelo. I lavori però si interruppero presto – sono tutt’ora bloccati – e Kapoor da tempo sta cercando di ricomprare due grandi strutture d’acciaio realizzate per la stazione, che si trovano in un deposito olandese. Oggi solleva di nuovo la questione in un articolo sul Corriere della Sera.
Qualche giorno fa ho visto in televisione sulla Cnn un servizio che celebrava il primato artistico e architettonico della nuova metropolitana di Napoli. Già negli anni scorsi mi era capitato di leggere sulla stampa inglese articoli che elogiavano quel progetto, indicando Napoli come città all’avanguardia nello sviluppo di un rapporto originale, sempre più intenso tra opere pubbliche e cultura visiva contemporanea. Non mi hanno mai meravigliato o colto di sorpresa queste notizie. Conosco Napoli e la frequento da circa vent’anni. La conosco per la storia, i monumenti antichi, i musei fantastici. La conosco e la frequento anche da artista sin dal Capodanno del 2000, quando ebbi l’occasione di installare in piazza del Plebiscito una scultura dal titolo «Taratantara».
Da allora, sempre più spesso ho avuto impegni professionali lì, al museo Archeologico e poi al museo Madre. Dal 2000 al 2010 ho partecipato insieme ad altri artisti ad alcune tra le più rilevanti iniziative dedicate all’arte contemporanea in una città europea. Secondo me, dalle manifestazioni in piazza del Plebiscito alle mostre nei musei antichi, alla nascita di nuovi spazi e alle stazioni della metropolitana oggi acclamate non ci fu soluzione di continuità. Tutto si legava in unico progetto. Perciò, quando nel 2003, mi fu chiesto di disegnare un’intera stazione, quella di Monte Sant’Angelo, sede di un Campus universitario, pensai che i miei interlocutori, benché la richiesta fosse ardita, meritavano di essere presi sul serio. Tutto quello che fino ad allora avevano detto si stava in quegli anni verificando, dunque meritavano fiducia. Purtroppo, col senno del poi devo ammettere di essermi sbagliato, anche se quel che accadde in seguito non fu certo colpa loro.
(continua a leggere sulla rassegna stampa Treccani)
foto: AP Photo/Remy de la Mauviniere