L’Italia al Sei Nazioni
Giulio D'Antona ha spiegato sull'Ultimo Uomo cosa c'è da aspettarsi dalla nazionale di rugby, nelle ultime tre partite di uno dei tornei più importanti del mondo
Sabato 22 febbraio si giocheranno due partite del terzo turno del torneo Sei Nazioni di rugby: Italia-Scozia, alle 14:30 allo Stadio Olimpico di Roma, e Inghilterra-Irlanda, alle 16 allo stadio Twickenham di Londra. Italia e Scozia sono le uniche due squadre a non aver ancora ottenuto una vittoria nel torneo: l’Italia ha perso 23-15 contro il Galles, lo scorso 1 febbraio, e 30-10 contro la Francia, domenica 9. Dopo quella di oggi contro la Scozia, all’Italia resteranno altre due partite: contro l’Irlanda l’8 marzo e contro l’Inghilterra il 15 marzo. Giulio D’Antona ha scritto sulla rivista Ultimo Uomo un profilo di tutte le squadre e in particolare dell’Italia, che quest’anno è una squadra abbastanza “inedita”, con ottime qualità ma con alcuni giocatori privi di esperienza, e alcuni punti deboli (come il gioco di mischia).
Il Sei Nazioni è il più importante torneo di rugby a 15 dell’emisfero settentrionale. Si gioca ogni anno nei fine settimana di febbraio e marzo, e vi partecipano sei squadre: le quattro delle isole britanniche (Galles, Inghilterra, Irlanda, Scozia), più Francia e Italia. A differenza di molti altri tornei sportivi internazionali – come i Mondiali di calcio – non si gioca in un solo paese: ogni nazione ospita due o tre partite, e ne gioca due o tre in trasferta.
Parlare dell’Italia al Sei Nazioni prima dell’inizio del torneo, senza cioè averla mai vista veramente in campo nella sua formazione completa, basandosi sui pezzi messi assieme dai risultati delle due squadre che giocano nei tornei internazionali, è difficile. Ma con due partite alle spalle, con tutte le carte allineate, le posizioni determinate e collaudate, si può facilmente delineare un profilo della Nazionale e supporre quale sarà il suo destino per le tre partite rimanenti. Non c’è modo migliore di farlo se non analizzando il rapporto con gli avversari che—alla fine dei conti—sono l’unica variabile determinante nell’andamento del torneo.
L’Italia di quest’anno è piuttosto inedita. Brunel si è deciso a mettere da parte le vecchie glorie che ormai mangiano il campo con la lentezza di chi è già completamente sazio e ha perso la voracità delle prime portate. Al netto dei nomi che ancora galleggiano sul carisma, naturalmente. Quello che ne è uscito è una specie di plotone di fuoco che la stampa ha battezzato Ragazzi del ’90—in uno slancio di lirismo bellico che almeno all’inizio ha fatto tremare i superstiziosi. Però i Ragazzi del ’90 stanno dando prova che l’assioma della molla caricata funziona: se si lasciano crescere le aspettative, si reprime la necessità di scendere in campo per un periodo sufficientemente lungo—ma non tanto da affievolire le forze—e poi si molla di colpo la presa, si finisce per scatenare una potenza inaspettata. Così Michele Campagnaro, che debutta nel torneo con soli tre caps alle spalle, finisce per rivelarsi per quello che è: un animale esplosivo in grado di infilare due mete al Galles nella prima gara.
In prima linea, se da una parte Castrogiovanni fornisce un apporto di immagine più che di gioco—è ormai appurato, quanto naturale, che dia tutto quello che ha nei primi dieci minuti e poi si ritrovi a ciondolare per il campo senza troppa incisività—De Marchi (che è del ’86), Cittadini e Rizzo (di corso leggermente più lungo) sembrano essere ottimi rincalzi più o meno in ogni momento ci sia bisogno di loro. Ghilardini, con 56 caps, non è più materia di analisi e per ora Giazzon non sembra fare grande differenza al tallonaggio. In seconda linea ci sono Geldenhuys, che personalmente non mi è mai piaciuto ma su cui Brunel e la FIR puntano moltissimo, Pavanello, che invece mi piace molto e che fornisce un lavoro tecnico quasi sempre impeccabile, e un redivivo Marco Bortolami, ripescato—con tutto l’onore che merita—più per fargli appuntare sul petto il centesimo cap che per una reale necessità tattica.
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foto: Michael Steele/Getty Images