Cosa cambia per il finanziamento pubblico ai partiti

Entro il 2017 verrà abolito il finanziamento diretto, sostituito da donazioni private e dal 2 per mille nella dichiarazioni dei redditi

Giovedì 20 febbraio la Camera ha approvato definitivamente la conversione del decreto legge che abolisce il finanziamento pubblico ai partiti. L’abolizione non avverrà subito, ma nell’arco di tre anni, e il finanziamento pubblico sarà sostituito, come riassume il sito della Camera, da un «un sistema di finanziamento basato sulle detrazioni fiscali delle donazioni private e sulla destinazione volontaria del due per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche».

Presentando il decreto lo scorso 13 dicembre, Enrico Letta dichiarò di aver mantenuto la sua promessa dell’abolizione entro la fine dell’anno, ma il provvedimento incontrò molte critiche dall’opposizione parlamentare: lo stesso è avvenuto ieri alla Camera, dove M5S, Lega e SEL hanno votato contro (a favore, invece, PD, NCD e Forza Italia) e i deputati del Movimento 5 Stelle hanno esposto cartelli in cui definivano la nuova legge «la prima bugia di Renzi».

Cosa c’è nella nuova legge?
Il finanziamento pubblico – che formalmente è un “rimborso elettorale”, ma ci torniamo – viene abolito, anche se non immediatamente. Nel 2014 i fondi erogati ai partiti saranno tagliati del 25 per cento, nel 2015 del 50 per cento e nel 2016 del 75 per cento. Dal 2017 questo tipo di finanziamenti diretti dello Stato, in forma di rimborsi, saranno completamente aboliti.

A partire dalla dichiarazione dei redditi del giugno 2015, gli italiani potranno decidere di versare il due per mille della loro imposta sul reddito ai partiti. Per accedere al finanziamento i partiti – oltre a rispettare una serie di criteri su cui torneremo – dovranno avere almeno un eletto alla Camera, al Senato o al Parlamento europeo.

Il denaro di chi non deciderà di versare il due per mille ai partiti andrà allo Stato: non sarà insomma diviso in proporzione come avviene per l’8 per mille destinato alle confessioni religiose (per cui se il 60 per cento di chi decide di versare i soldi li destina alla Chiesa Cattolica, questa riceve anche il 60 per cento di chi non ha optato per nessuno). La somma complessivamente corrisposta ai partiti non potrà comunque superare un tetto stabilito per ciascun anno: finora il tetto è stato posto a 7,75 milioni di euro per l’anno 2014, a 9,6 milioni di euro per l’anno 2015, a 27,7 milioni di euro per l’anno 2016 e a 45,1 milioni di euro dall’anno 2017 in poi.

Sarà possibile fare anche donazioni dirette ai partiti. I privati potranno dare fino a 100 mila euro l’anno (inizialmente il decreto del governo diceva 300 mila), con una serie di detrazioni fiscali sulle cifre donate. Anche le persone giuridiche, cioè le società e gli enti, potranno dare fino a 100 mila euro l’anno. Sono possibili donazioni a più partiti a patto che ciascuna non superi i 100 mila euro. I pagamenti dovranno essere tracciabili e i partiti potranno accedere con criteri un po’ più ampi di quelli per il 2 per mille (basterà aver presentato candidati in tre circoscrizioni della Camera o in tre regioni al Senato).

Chi può ricevere questi nuovi finanziamenti?
Detta così, diventa piuttosto chiaro che il finanziamento pubblico non viene abolito del tutto: il due per mille e le detrazioni sulle donazioni dirette sono un mancato gettito fiscale per lo stato e quindi un costo per i cittadini, come ha spiegato Roberto Perotti su LaVoce.info. Sarebbe più corretto dire che il “finanziamento pubblico diretto” è stato abolito e più in generale che “il finanziamento pubblico” viene molto ridotto.

Ma chi può ricevere questi sgravi e questi finanziamenti? Sono state poste alcune condizioni, come quelle del numero di eletti o dei candidati di cui abbiamo parlato prima, ma ci sono anche «requisiti di trasparenza e democraticità» e l’istituzione di un registro dei partiti politici. Tra i requisiti ci sono l’adozione di statuti che garantiscano la «democrazia interna» e bilanci certificati e accessibili sui propri siti. Una modifica introdotta durante l’esame parlamentare è il fatto che le sedi dei partiti dovranno tornare a pagare l’IMU.

Che cos’è il finanziamento pubblico ai partiti?
Il finanziamento pubblico ai partiti in Italia, che rimarrà attivo ancora per tre anni, è precisamente un “rimborso elettorale”. In teoria – molto in teoria – è un rimborso per le spese sostenute dai partiti in campagna elettorale. Si basa sul calcolo di quanti elettori un partito è riuscito ad attirare (qui ne abbiamo spiegato più in dettaglio la storia e il funzionamento).

Il meccanismo funziona così: ogni anno in cui si svolgono elezioni viene costituito un fondo nel quale viene versata una certa cifra per ogni elettore (ogni avente diritto, quindi includendo anche chi si asterrà). Nel caso delle elezioni politiche, questa cifra viene versata una volta per la Camera e una per il Senato. Dopo le elezioni, il fondo così ottenuto viene diviso in proporzione tra tutti i partiti che alle elezioni hanno ottenuto almeno l’un per cento dei voti, e viene loro distribuito nel corso dei 5 anni della legislatura. Se la legislatura termina in anticipo lo stato continua a versare le rate di rimborsi, che quindi si sovrappongono ai rimborsi per le elezioni successive (è quello che è accaduto con le elezioni anticipate del 2008, ad esempio).

Da dove arrivano?
I rimborsi elettorali sono il risultato dell’abrogazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Nel 1993, dopo le inchieste della cosiddetta “Tangentopoli”, il 90,3 per cento dei votanti in un referendum scelse il “sì” all’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. In realtà il referendum non ha fatto cambiare molto le cose. Come abbiamo visto, i rimborsi sono semplicemente un versamento di denaro ai partiti del tutto slegato dalle spese effettivamente sostenute. In molti hanno accusato la classe politica di aver utilizzato un trucco per reintrodurre il finanziamento pubblico abrogato dal referendum.

Dal 2007 l’entità dei rimborsi diretti è stata spesso rivista: nel 2007, nel 2010 e nel 2011 vennero ridotti del 10 per cento. Con il governo Monti, nel 2012, sono stati dimezzati, passando da un totale di 182 milioni a 91 milioni.