Che cos’è il “manuale Cencelli”
Da dove viene l'espressione che torna sui giornali ogni volta che si discute di nuovi governi, prima che diventasse un modo di dire
Ogni volta che in Italia si discute della formazione di un governo – ma in generale di qualsiasi formazione di un organismo politico, anche di partito – ritorna sui giornali e nelle conversazioni un’espressione: il “manuale Cencelli”. L’espressione è apparsa più volte sui giornali negli ultimi giorni e lo scorso 14 febbraio ne ha parlato anche il suo ideatore, l’ex portaborse e politico democristiano Massimiliano Cencelli, che in un’intervista all’Unità ha definito il suo metodo di grande attualità: facendo riferimento alla formazione del nuovo governo, ha detto che Matteo Renzi «dovrà applicare anche lui le regole se vuole evitare il caos», precisando anche che se non saranno necessarie per l’assegnazione dei posti all’interno del PD «restano comunque gli altri partiti».
Oggi con “manuale Cencelli” si fa riferimento alla spartizione di incarichi basata su interessi politici limitati e di corrente anziché sul merito, alla lotta politica tra le correnti, alla lottizzazione e all’esasperata proporzionalità nell’assegnazione del potere. Oltre a essere un’espressione gergale però, il “manuale Cencelli” era una specie di leggendario meccanismo basato su formule algebriche, apparentemente inventato durante la cosiddetta Prima Repubblica con l’obiettivo di spartire equamente gli incarichi di governo – ognuno con un’importanza diversa – in base al peso elettorale di ogni singolo partito o corrente. L’invenzione risale al 1968, in occasione del congresso della Democrazia Cristiana a Milano e della formazione del futuro governo Leone. Cencelli, che oggi ha 77 anni, ne ha parlato più volte alla stampa, e in un’intervista ad Avvenire del 25 luglio 2003 ha raccontato:
«Nel 1967 Sarti (Adolfo Sarti, deputato della DC, ndr.), con Cossiga e Taviani, fondò al congresso di Milano la corrente dei ‘pontieri’, cosiddetta perché doveva fare da ponte fra maggioranza e sinistra. Ottenemmo il 12% e c’era da decidere gli incarichi in direzione. Allora io proposi: se abbiamo il 12%, come nel consiglio di amministrazione di una società gli incarichi vengono divisi in base alle azioni possedute, lo stesso deve avvenire per gli incarichi di partito e di governo in base alle tessere. Sarti mi disse di lavorarci su. In quel modo Taviani mantenne l’Interno, Gaspari fu Sottosegretario alle Poste, Cossiga alla Difesa, Sarti al Turismo e spettacolo. La cosa divenne di pubblico dominio perché durante le crisi di governo, Sarti, che amava scherzare, rispondeva sempre ai giornalisti che volevano anticipazioni: chiedetelo a Cencelli».
Non è chiaro se il “manuale” esista concretamente: non venne mai pubblicato e si dice circolasse sotto forma di pamphlet tra i dirigenti politici dell’epoca. Secondo alcuni era una serie di appunti e di modelli di calcolo, ma altri credono che fosse un testo codificato e ben preciso: il giornalista Renato Venditti, all’inizio degli anni Ottanta, dedicò alla storia del manuale e alle sue applicazioni pratiche un libro pubblicato da Editori Riuniti.
Stando al “manuale Cencelli”, ogni posto di governo aveva un valore, un peso, calcolato dal punto di vista qualitativo e a cui veniva assegnato un certo punteggio: il ministero dell’Interno non aveva insomma lo stesso valore del ministero della Cultura (e a quei tempi pesava parecchio anche il ministero delle Poste e Telecomunicazioni, secondo Cencelli perché «poteva assumere un sacco di persone che poi avrebbero ricompensato con il voto»). I posti di sottosegretario erano ripartiti secondo il principio generale che un ministro “vale” due sottosegretari e mezzo. Era anche previsto un equilibrio nella rappresentanza geografica. Gli incarichi erano assegnati a seconda della percentuale dei voti ottenuti dai partiti, e le correnti interne si spartivano gli incarichi che spettavano al partito in proporzione al numero di iscritti al partito portati dai rispettivi capi corrente e dai risultati congressuali.
Come spiega un articolo della Stampa del 1974:
«Cencelli aveva realizzato un lavoro perfetto: aveva calcolato la forza di ogni corrente tenendo conto delle percentuali ottenute ai congressi (queste cifre le aggiorna periodicamente) e aveva poi diviso in categorie di importanza decrescente i posti appetibili: i ministeri sono ripartiti in “grossissimi”, in “grossi”, “piccoli”, e “senza portafogli”. Tra i primi ci sono l’Interno, gli Esteri, la Difesa e il Tesoro da sempre in mani democristiane o eccezionalmente socialdemocratiche e repubblicane, ma mai affidati a un socialista. La distribuzione dei posti diventava un problema matematico. Tra due correnti di uguale forza, se una otteneva un ministero “grossissimo”, poteva avere, per esempio solo due sottosegretari. L’altra corrente, se otteneva un ministero di seconda categoria era compensato con un numero maggiore di sottosegretari, alcuni dei quali nei ministeri di prima categoria».
Nella foto: apertura della Camera e del Senato della quinta legislatura.
Amintore Fanfani durante il suo discorso, 5 giugno 1968 (©Publifoto/Lapresse)