La scienza dei ghiaccioli
Che ci crediate o no, ci sono molte cose che ancora non capiamo dei coni di ghiaccio che di solito si formano sui rami e intorno ai tetti
Stephen W. Morris è un ricercatore di fisica dell’Università di Toronto, in Canada, e da anni studia la formazione e le proprietà dei ghiaccioli: non quelli che si mangiano, ovviamente, bensì i coni appuntiti di ghiaccio che di solito si formano sui rami, lungo le sporgenze delle rocce e intorno ai perimetri dei tetti. Nonostante siano conosciute e ben visibili, soprattutto nella stagione fredda a bassa quota, questa sorta di stalattiti di ghiaccio sono state fino a ora poco studiate e alcune delle loro caratteristiche fisiche continuano a essere un mistero.
Insieme con i suoi colleghi, Morris ha iniziato alcuni anni fa studiando la forma che assumono i ghiaccioli in natura. Per farlo è partito da alcuni studi realizzati da Raymond Goldstein dell’Università dell’Arizona, che ha elaborato un modello teorico per spiegare la forma e il modo in cui crescono queste formazioni di ghiaccio, basato in parte sulle cose scoperte in ricerche precedenti sulle stalattiti, che sono formate da depositi di minerali sulle volte delle grotte.
Goldstein ha notato che in termini fisici ci sono sensibili differenze tra le stalattiti e i ghiaccioli. Le prime si formano in seguito a una progressiva stratificazione di depositi di carbonato di calcio (il principale componente del calcare), mentre la formazione dei secondi è dovuta all’accumulo di strati di acqua che si congela prima di raggiungere l’estremità del cono di ghiaccio. In termini matematici ci sono invece diverse similitudini: le increspature sulla superficie delle stalattiti hanno la stessa lunghezza d’onda di quelle sui ghiaccioli, e qui entrano in gioco gli studi più recenti di Morris.
Il ricercatore ha scoperto che, a prescindere dalla grandezza dei ghiaccioli, sulla loro superficie si formano sempre piccole increspature a intervalli regolari tra una punta e un’altra. La distanza, o lunghezza d’onda, tra due punte è di un centimetro. È sempre così e nessuno è ancora riuscito a spiegarne completamente il motivo.
Alcuni hanno ipotizzato che le increspature siano così regolari a causa della tensione superficiale del sottile strato d’acqua che scorre sulla superficie del ghiacciolo e dell’aria circostante. Morris non è convinto di questa teoria e dai suoi studi ha notato che molto dipende dalla presenza di sali disciolti nell’acqua che congelandosi formerà il ghiacciolo. Il ricercatore ha verificato la sua teoria creando ghiaccioli con acqua purificata o contenente impurità: nel primo caso si sono formate stalattiti di ghiaccio completamente lisce, nel secondo le classiche formazioni che si possono osservare in natura.
Di solito i ghiaccioli si formano quando uno strato di ghiaccio o neve si scioglie a causa dell’esposizione diretta al Sole, o perché si trova su una superficie più calda dell’ambiente circostante, come può esserlo un tetto di un edificio riscaldato. L’acqua quasi prossima al congelamento inizia a gocciolare, incontra una zona in cui l’aria è più fredda – per esempio un punto in ombra – e si congela nuovamente, formando goccia dopo goccia un ghiacciolo. Il fenomeno si verifica solo in particolari condizioni ambientali: se fa troppo freddo l’acqua si congela prima di gocciolare, se fa troppo caldo le gocce non si solidificano e cadono a terra.
Morris ha realizzato i suoi studi in laboratorio costruendo un ingegnoso macchinario che gli ha permesso di creare centinaia di ghiaccioli, al chiuso. L’acqua viene fatta cadere su un supporto di legno a cono all’interno di un contenitore dove viene forzato il passaggio di aria gelata. Il supporto in legno viene fatto girare lentamente, per essere sicuri che il ghiacciolo assuma una forma simmetrica. I ricercatori possono regolare la composizione dell’acqua, la temperatura dell’aria e imitare anche il passaggio di correnti d’aria. Calibrando le variabili è possibile riprodurre condizioni ambientali differenti e vedere come si formano i ghiaccioli e da che cosa dipende la loro evoluzione.
Il sistema ideato da Morris permette di creare un ghiacciolo lungo mezzo metro in otto ore, a una temperatura di -10 °C. Una fotocamera digitale scatta periodicamente una foto alla stalattite di ghiaccio, in modo da vedere come cambia la sua formazione nei vari momenti.
Grazie agli studi di Morris e Goldstein ora sappiamo che i ghiaccioli sviluppano increspature sulla loro superficie a intervalli regolari, e soprattutto che la loro formazione è dovuta alla presenza di sali disciolti nell’acqua. Molte altre cose sul fenomeno continuano comunque a essere ignote: nessuno ha per esempio ancora spiegato perché la lunghezza d’onda delle increspature è sempre pari a un centimetro, né perché un cambiamento della temperatura dell’aria o diverse concentrazioni di sali non abbiano conseguenze sulla lunghezza d’onda delle increspature. Uno studio con altri minerali disciolti in acqua, ancora in corso, potrebbe portare a qualche nuovo elemento per risolvere il problema.