“House of Cards” per principianti
Le cose da sapere su una delle serie tv più attese dell'anno, che ricomincia domani: ma "ricomincia" è un'espressione imprecisa
Il 14 febbraio sarà disponibile su Netflix la seconda stagione di House of Cards, la serie tv che racconta la storia di Frank Underwood, un politico interpretato da Kevin Spacey che vuole vendicarsi del presidente degli Stati Uniti per non aver ottenuto la nomina a segretario di Stato. La serie tv, in cui recita anche Robin Wright, è una delle più attese e promettenti di quest’anno (non preoccupatevi, non ci sono spoiler).
Il trailer della seconda stagione
La storia di House of Cards
House of Cards si basa sull’omonima miniserie televisiva trasmessa nel 1990 dalla BBC, a sua volta adattamento di un romanzo scritto da Michael Dobbs, ex membro del partito conservatore britannico. Lo studio televisivo indipendente Media Rights Capital comprò i diritti della serie britannica e nel 2008 propose al regista David Fincher (che ha diretto, tra le altre cose, The Social Network, Il curioso caso di Benjamin Button, Fight Club, Se7en, Uomini che odiano le donne) di diventarne il produttore esecutivo. Nel 2011 MRC e Fincher hanno accettato di produrre la serie per Netflix, che ha assicurato libertà di movimento e almeno due stagioni, e hanno proposto allo sceneggiatore e drammaturgo Beau Willimon di scrivere la serie e diventarne lo showrunner, cioè la persona responsabile della realizzazione della serie. Fincher ha girato i primi due episodi ma non ha avuto alcun ruolo nella seconda stagione. Oltre a Kevin Spacey recitano Robin Wright, Kate Mara e Corey Stoll.
Il successo della prima stagione
Netflix è una società che offre, tra le altre cose, servizi di streaming online on demand, soprattutto film e serie tv: è nota per avere rivoluzionato il sistema del noleggio di film negli Stati Uniti ma oggi lo streaming online è la sua principale attività e negli ultimi anni ha iniziato a fornire i propri servizi anche nel Regno Unito, in Irlanda, in Svezia, in Danimarca, in Norvegia e in Finlandia. Il primo febbraio Netflix ha reso disponibile la serie House of Cards: tutta la prima stagione, tredici episodi, è stata diffusa nello stesso momento, permettendo agli utenti che lo volevano di scaricarli e vederle una dietro l’altra. Secondo molti commentatori si è trattato di una grossa innovazione che, se applicata con maggior frequenza anche da altre serie, potrebbe cambiare il modo in cui guardiamo la tv e l’approccio alla serialità: la storia ricorrerà meno alla suspence, ai finali in sospeso episodio dopo episodio, e dovrà anche fare meno affidamento sulle opinioni e i gusti del pubblico, che spesso plasmano la storia dei personaggi nel corso di una stessa stagione.
House of Cards ha avuto da subito un grandissimo successo di pubblico e di critica. È stata la prima serie tv non trasmessa da un canale tv a essere candidata agli Emmy Awards (i premi americani per la tv) e ne ha vinti tre; Robin Wright ha ricevuto il Golden Globe come migliore attrice femminile in una serie drammatica per la sua interpretazione della moglie di Underwood, Claire.
L’American Film Institute, organizzazione indipendente che si occupa di preservare la storia del cinema e della televisione negli Stati Uniti, l’ha inserita tra le migliori 10 serie tv del 2013. Anche il presidente americano Barack Obama ha raccontato di aver visto la serie e commentato che «mi piacerebbe che le cose a Washington fossero così spietatamente efficienti», riferendosi all’atteggiamento senza scrupoli ma efficiente di Underwood.
Perché House of Cards funziona
Il successo, oltre alla bravura degli attori, alla regia e alla notevole cura dei dettagli, è frutto anche dall’aspetto melodrammatico della storia, fatta di manipolazioni, tradimenti e violenza, degni di un dramma shakespeariano – richiamato anche dalla frequenza con cui Underwood si rivolge agli spettatori guardando direttamente in camera. Come ha raccontato Willimon, House of Cards racconta il potere in tutte le sue forme: politica, sociale e lavorativa, estremizzando il cinismo e la crudezza della vita politica di Washington. «I politici sono tutti assassini, o devono volerlo diventare», ha spiegato.
La seconda stagione
Le anticipazioni sulla seconda stagione non sono molte, anzi se ne sa ancora pochissimo. David Fincher non ha girato nessun episodio, ma si sa che uno è stato diretto da Robin Wright e un altro da Jodie Foster. Le riprese sono state fatte prevalentemente a Washington DC e a Baltimora. Dal trailer e da certe sobrie dichiarazioni di Willimon sembra però che l’atmosfera diventerà ancora più cupa e violenta che nella prima stagione. Nel frattempo Netflix ha confermato che ne sarà realizzata anche una terza stagione, sempre da tredici episodi.
Il secondo trailer della seconda stagione
Chi è Beau Willimon
Adam Sternbergh ha raccontato sul New York Times la storia di Beau Willimon, autore e responsabile di House of Cards. Willimon ha 36 anni, è figlio di un membro della Marina ed è cresciuto in vari stati americani, dalla Virginia alla Pennsylvania al Missouri. La sua biografia su Twitter è indicativa del rapporto – maniacale, incessante e ossessionato dai dettagli – che ha con la serie: scrive infatti che «È così che ho passato gli ultimi quattro anni della mia vita» e poi linka all’account Twitter di House of Cards. Willimon ha detto di dedicare il 98 per cento del suo tempo da sveglio alla serie: lo trascorre con gli altri autori in un loft affittato nel quartiere di TriBeCa, a New York, a riscrivere gli episodi in un hotel di Baltimora o nella roulotte che segue le riprese ovunque vengano svolte, e a controllare ogni minuzia sul set. Una volta si è vantato che l’ufficio di Underwood è una copia quasi perfetta di quello dello speaker della Camera, un’altra volta ha ossessionato Jodie Foster – che stava girando un episodio – sulla disposizione delle transenne in una scena sostenendo che non era realistica.
Un simile livello di realismo ha a che fare con la passata esperienza politica di Willimon, che ha partecipato a varie campagne elettorali, tra cui quelle di Hillary Clinton e Howard Dean. A vent’anni si era trasferito in Estonia, dove visionava per conto del governo statunitense migliaia di pagine di documenti sull’Unione Europea, che poi doveva riassumere. Cadde in depressione, iniziò ad avere attacchi di panico – «in parte perché il sole non tramontava mai, in parte perché non sapevo che stavo facendo della mia vita, in parte perché c’è questo mio lato oscuro che viene a galla ogni tanto» – e tornò a casa dei genitori in Missouri per rimettersi in sesto. Poi si trasferì a New York, si iscrisse al corso di drammaturgia della Columbia (era tra i peggiori, non aveva nessuna esperienza) e iniziò a lavorare per alcuni politici. Nel 2004, dopo la campagna di Dean alle primarie democratiche per la presidenza, scrisse l’opera teatrale Farragut North, che venne rappresentata in 40 teatri americani. Willimon trasformò poi il testo nella sceneggiatura del film Le idi di marzo, diretto da George Clooney nel 2011, con Ryan Gosling, Philip Seymour Hoffman, Paul Giamatti e Marisa Tomei. Il film è stato anche candidato all’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale.
Sternbergh ha raccontato il modo in cui lavorano Willimon e gli altri autori: nel loft a TriBeCa c’è una grande lavagna con gli schemi degli episodi e gli aggiornamenti su quello che accade a tutti i personaggi, anche quelli secondari. Più che dei nodi cruciali della trama, gli autori discutono del carattere dei personaggi, cercando di immaginare se davvero avrebbero preso una certa decisione e reagito in un dato modo.
Sul set ci si diverte
Nonostante l’atmosfera drammatica della serie, pare che sul set ci si diverta molto. Quando ha ricevuto il Golden Globe, Wright ha definito Spacey un «compagno di gioco». Ha anche raccontato che «ci divertiamo parecchio. A volte devo fare una pausa perché ridiamo così tanto che le truccatrici devono asciugarmi le lacrime e rifarmi il trucco».