La mammografia funziona?
Un nuovo studio canadese ne mette in dubbio l’efficacia: dice che i programmi di controllo hanno portato a diagnosi di tumori che non avrebbero dato conseguenze
Martedì 11 febbraio sul British Medical Journal è stato pubblicato uno studio sulla mammografia come strumento di diagnosi precoce per la prevenzione del tumore al seno. Si tratta di una ricerca che il New York Times ha definito come tra le «più ampie e meticolose mai fatte nei tempi recenti»: è stata condotta in Canada, ha coinvolto 90 mila donne di età compresa tra 40 e 59 anni, è durata 25 anni e aggiunge nuovi dubbi circa l’efficacia dei test di screening sulle donne di qualsiasi età, di cui si era già discusso a lungo in passato.
La mammografia è un esame al seno effettuato tramite una bassa dose di raggi X. Lo screening (cioè l’indagine per una diagnosi precoce) è consigliato e gratuito in molti paesi – compresa l’Italia – ogni due anni, superato un certo limite di età. Uno dei punti di maggiore discussione sulla mammografia riguarda proprio l’età delle donne a cui sono indirizzati i programmi: se la maggior parte degli esperti è d’accordo sul beneficio per le donne di età superiore ai 50 anni, diverse perplessità sono state sollevate sull’applicazione dei programmi alle donne più giovani, fra i 40 e i 49 anni. Ci sono anche però molti ricercatori che, soprattutto negli ultimi anni, hanno sostenuto che non ci sono effettive prove che la mammografia condotta in modo regolare possa “salvare la vita”: lo studio canadese fornisce dati che sembrano confermare questa tesi.
Nell’arco di 25 anni, si è infatti riscontrato che i tassi di mortalità per cancro al seno sono gli stessi nelle donne che si sono sottoposte a mammografie e nelle donne che non l’hanno fatto e si sono limitate a visite senologiche presso un medico specializzato (anamnesi, osservazione, palpazione). Non solo: lo studio sostiene che lo screening ha avuto conseguenze negative come la “sovradiagnosi”: non tutti i casi di cancro scoperti attraverso la mammografia e trattati di conseguenza costituivano infatti una minaccia per la salute della donna e non avevano dunque bisogno di essere curati con chemioterapia, chirurgia o radioterapia. Molti tumori crescono lentamente e non richiedono alcun trattamento, riporta lo studio: alcuni tipi di cancro possono anche ridursi o scomparire da soli.
I risultati dello studio canadese, scrive il New York Times, non porteranno ad alcun cambiamento immediato nelle linee guida sulla mammografia dell’American Cancer Society. Ma Richard C. Wender, responsabile dell’organizzazione, ha detto che è stato convocato un gruppo di esperti che sta esaminando tutti gli studi a disposizione sulla mammografia, compreso quello canadese, e che entro la fine dell’anno saranno comunicati nuovi orientamenti. Ha però aggiunto che i dati combinati degli studi hanno mostrato come la mammografia riduca il tasso di mortalità per cancro al seno di almeno il 15 per cento nelle donne più giovani e di almeno il 20 per cento nelle donne più anziane.
Nell’editoriale che accompagna la recente ricerca canadese, si afferma che c’è una spiegazione per la differenza tra le loro conclusioni e quelle degli studi precedenti e che, al contrario, hanno dimostrato un’efficacia della mammografia: le altre ricerche sono state condotte prima che venisse diffuso l’uso di farmaci antitumorali assunti per via orale come il Tamoxifene, che ha ridotto drasticamente il tasso di mortalità femminile per cancro al seno. Quegli studi non hanno inoltre utilizzato a pieno i criteri della sperimentazione clinica: hanno cioè condotto le ricerche su campioni di donne a caso e non su donne consapevoli del cancro al seno e dei suoi pericoli. Quindi, si legge nell’articolo, «è possibile che lo screening mammografico possa funzionare se non si ha alcuna consapevolezza della malattia».