Letta non si presta
E annuncia un progetto di governo fin troppo ambizioso: ma l'ipotesi staffetta ha fatto i conti senza di lui
Mercoledì 12 febbraio, nel corso di una conferenza a Palazzo Chigi a Roma, dopo l’incontro con Matteo Renzi, Enrico Letta ha annunciato un’iniziativa intitolata “Impegno Italia“, «una proposta di patto di coalizione» di cui oggi pomeriggio è stato pubblicato il simbolo sul sito del governo. A proposito di Impegno Italia, Letta ha detto: «Lo offro al Parlamento e ai cittadini». Ha poi chiesto al suo partito e agli alleati di «prendersi le proprie responsabilità».
Enrico Letta non ha fatto alcuna apertura a possibili sue dimissioni o “staffette”. «Io non metto una data» alla permanenza in carica, ha detto all’inizio della conferenza stampa. La durata del suo governo, ha proseguito, è subordinata all’attuazione di alcune riforme, in primo luogo istituzionali: «dev’essere una legislatura in cui usciamo da due grandi emergenze, quella economica e quella legata a una legge elettorale che non funzionava, al bicameralismo che così com’è non funziona, e al Titolo V della Costituzione» che ha bisogno di modifiche.
Uno dei pochissimi riferimenti (peraltro piuttosto obliquo) alla fine del suo governo è stato in questo passaggio: «terminato questo processo [delle riforme istituzionali], io ritengo che questo lavoro possa essere un lavoro che va a compimento.» Ma «la scadenza deve essere legata a dei risultati».
Letta si è poi concentrato a lungo sull’affermazione dei risultati già ottenuti dal governo: in primo luogo l’inizio della discussione sulla legge elettorale e il «superamento dell’empasse che nel nostro paese c’era sul finanziamento pubblico ai partiti». Più tardi è tornato a difendere i risultati positivi provenienti dall’economia del paese, e in particolare dalla finanza pubblica: ha citato lo spread sotto i duecento punti, con il tasso di interesse sul debito «migliore da otto anni a questa parte», la diminuzione del debito pubblico «per la prima volta dopo sei anni», il deficit inferiore al 3 per cento del PIL «per il terzo anno di fila».
Rispetto alla nascita del governo, Letta ha detto di ritenersi «un uomo delle istituzioni» e che la sua elezione a presidente del Consiglio è stata frutto di circostanze eccezionali:
Questa legislatura non è nata con governi eletti dal popolo: noi cittadini abbiamo votato e si è creato un empasse. Il mio governo è nato in Parlamento.
Più tardi è ritornato sul tema delle dimissioni:
Le dimissioni non si danno per dicerie, per manovre di palazzo, o perché ci sono retroscena che dicono questo.
Letta si è detto «sereno» e ha usato l’ironia per commentare la sua situazione: «dovesse andare male questa vicenda penso che potrei insegnare pratiche zen in qualunque monastero orientale».
L’ultima parte della sua conferenza stampa è stata dedicata a presentare i punti principali di Impegno Italia che, stando alla presentazione, contiene una grande quantità di proposte su temi molto distanti e differenti. I primi provvedimenti esposti da Letta – a proposito dei quali ha detto «mi rendo conto che non ecciteranno nessuno» – sono stati «sei punti sull’argomento dell’attuazione delle leggi». Poi Letta ha nominato misure sulla «questione chiave dell’occupazione e del lavoro», ha detto che il documento contiene dati concreti per il reperimento delle risorse, e ha annunciato iniziative su temi che vanno dalla «sperimentazione nei contratti di lavoro a tutela progressiva» alla «semplificazione del codice del lavoro» e all’impegno a «rafforzare gli asili nido e dare un incentivo al lavoro femminile». Tra le ultime cose citate c’è stato anche «un grande piano per il paese perché la scuola cominci a 5 anni e finisca a 18».