Storie di morti in carcere
Pestaggi, torture, violenze sessuali, malati non curati, impiccagioni "sospette": un articolo e un video del Corriere mostrano un pezzo di quello che succede nelle prigioni italiane
Antonio Crispino, giornalista del Corriere della Sera esperto di carceri, ha realizzato un’inchiesta sulle persone che muoiono nelle carceri italiane, che sono tantissime – “quasi un morto ogni due giorni” – e riguardo le quali spesso non si riescono a ricostruire le vere ragioni. Le storie che racconta in un video e nell’articolo mostrano soltanto un pezzo delle attuali condizioni delle carceri italiane e delle cose orribili che succedono dentro, a volte con la complicità o la connivenza delle persone che in primo luogo dovrebbero sorvegliare sulla loro sicurezza.
(attenzione: il video contiene immagini forti)
Per quando questa inchiesta sarà tolta dal sito del Corriere (più o meno 48 ore), in carcere sarà morta un’altra persona. Sono 2230 decessi in poco più di un decennio. Quasi un morto ogni due giorni. Morte naturale, arresto cardio-circolatorio, suicidio. Queste le cause più comuni. Quelle scritte sulle carte. Poi ci sarebbero i casi di pestaggio, di malasanità in carcere, di detenuti malati e non curati, abbandonati, le istigazioni al suicidio, le violenze sessuali, le impiccagioni a pochi giorni dalla scarcerazione o dopo un diverbio con il personale carcerario. Sono le ombre del sistema. La versione ufficiale è che il carcere è “trasparente”, sono tutte fantasie, storie metropolitane. «I detenuti, ormai, l’hanno presa come una moda quella di denunciare violenze». Parola di Donato Capece, leader del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria).
Per essere credibili bisogna portare le prove, le testimonianze. In che modo? «Il carcere è un mondo a parte, un sistema chiuso dove si viene a sapere quello che io voglio che si sappia e dove le carte si possono sistemare a piacimento. Il sistema tende a proteggere se stesso» sintetizza Andrea Fruncillo, ex agente penitenziario di Asti. Lo avevamo incontrato già qualche anno fa. Grazie anche alla sua denuncia (caso più unico che raro) venne alla luce il sistema di pestaggio organizzato all’interno del carcere dove prestava servizio. In primo grado non si trovò nessun responsabile. In secondo grado sono arrivate le condanne.
E’ una lotta impari, una fatica di Sisifo. «Anche lì dove riusciamo faticosamente a reperire delle prove finisce quasi sempre con una prescrizione» spiega l’avvocato Simona Filippi.