Una soluzione controversa all’HIV
Un nuovo farmaco può prevenire il contagio in modo molto efficace ma non è stato accolto positivamente dalla comunità gay, per ragioni sia culturali che mediche
Truvada è il nome di una pillola che presa quotidianamente offre altissima protezione dal rischio di contrarre il virus dell’HIV: l’efficacia della terapia è stata verificata da diversi studi e nel 2012 la FDA (Food and Drugs Administration), l’ente che si occupa della regolamentazione dei farmaci, ha diffuso le linee guida per la sua somministrazione negli Stati Uniti: da allora diverse assicurazioni sanitarie hanno incluso la terapia tra quelle coperte. Nonostante questo negli ultimi anni solo poche migliaia di persone hanno chiesto di iniziare la terapia col Truvada, e questo per diverse ragioni: per esempio, per il timore che la sua diffusione porti progressivamente a trascurare la sicurezza dei comportamenti sessuali e a un conseguente aumento della diffusione dell’HIV.
In un’intervista al New Yorker nell’ottobre 2013, Robert Grant, uno dei medici che avevano effettuato i primi studi sull’uso del Truvada per la PreP (la profilassi pre-esposizione: un intervento farmacologico attuato prima di una possibile esposizione all’HIV, allo scopo di prevenire il contagio), si era detto molto stupito dello scarso entusiasmo con cui la terapia era stata accolta dal pubblico. Come aveva raccontato Grant, il giorno della pubblicazione dello studio il team di ricerca aveva ricevuto una telefonata di congratulazioni dal presidente Obama e l’agenzia governativa della salute pubblica della California aveva già preparato linee guida e protocolli per la somministrazione del farmaco (anche se la sua approvazione da parte della FDA non sarebbe arrivata ancora per un anno). Insomma, in molti credevano che il Truvada avrebbe rivoluzionato la situazione, e in effetti i benefici che la terapia può portare alla vita di molte persone sono piuttosto consistenti.
In cose consiste
Nel 2010 uno studio mostrò come l’assunzione di un particolare medicinale antiretrovirale usato per il trattamento dell’AIDS, il Truvada, potesse essere usato anche per la profilassi pre-espositiva del virus HIV, che provoca l’AIDS. Lo studio aveva mostrato come l’assunzione regolare del farmaco (una pillola al giorno) aiutasse a ridurre il pericolo di contrarre il virus per i soggetti statisticamente più a rischio, cioè i maschi omosessuali o bisessuali e per le coppie eterosessuali in cui uno dei due partner è infetto (le cosiddette coppie discordanti). Il livello di protezione offerto dalla terapia, tuttavia, varia considerevolmente a seconda della frequenza con cui il farmaco viene assunto: per i soggetti che seguono con più attenzione la prescrizione di una pillola al giorno, la riduzione del rischio di contrarre il virus è superiore al 90 per cento, ma se il farmaco non viene assunto secondo la prescrizione il suo livello nel sangue si abbassa rendendo la terapia sostanzialmente inutile. In italia il Truvada è in commercio e viene comunemente usato per il trattamento dell’HIV, non esistono tuttavia linee guida ministeriali per il suo uso a scopo preventivo e non può dunque essere prescritto a persone sieronegative.
Le critiche
Negli ultimi anni la terapia è stata adottata da poche migliaia di persone negli Stati Uniti – 1.774 tra il gennaio 2011 e il marzo 2013 – e ci sono diverse ragioni alla base della sua scarsa popolarità. Bisogna tener presente, innanzitutto, che si tratta di un farmaco che va assunto per lunghissimi periodi di tempo e che ha alcuni effetti collaterali, seppur non particolarmente significativi. A questi fattori bisogna aggiungerne un altro, per molti versi sorprendente: la terapia è stata molto criticata da diverse importanti istituzioni che si occupano di prevenzione e cura dell’AIDS, e si trova al centro di un ampio dibattito soprattutto all’interno della comunità gay statunitense.
Ci sono due grandi problemi che vengono sollevati contro il Truvada, entrambi legati a complicazioni secondarie date dall’uso della PreP: il primo è di natura medica, il secondo ha più a che fare con i cambiamenti sociali che la terapia potrebbe far scaturire. Il problema medico è legato al fatto che l’efficacia della terapia dipende per larga parte dalla frequenza e regolarità con le quali la pillola viene assunta. Alcune ricerche, infatti, hanno mostrato come pazienti che contraggono il virus durante la terapia, perchè magari hanno smesso di assumere la pillola con regolarità, possano sviluppare un virus più resistente di quello normale, che sarebbe poi immune al Truvada usato come cura. Il rischio è che in breve tempo si cominci a trasmettere una forma del virus per la quale le cure più diffuse sarebbero inutili: per questa ragione chi si sottopone alla terapia deve anche sottoporsi a regolari esami e test per verificare di non aver contratto il virus.
L’obiezione più rilevante contro il farmaco, e quella di cui si sta maggiormente discutendo, è però quella di carattere sociale: la diffusione della terapia di profilassi potrebbe portare a una progressiva trascuratezza della sicurezza dei comportamenti sessuali tra i soggetti a rischio, causando effetti controproducenti in termini di prevenzione dell’AIDS. Il timore è che i soggetti ad alto rischio di infezione, rassicurati da un falso senso di sicurezza, smettano di usare il preservativo durante i rapporti sessuali e che, più in generale, smettano di seguire le pratiche precauzionali che negli ultimi trent’anni sono state al centro della lotta alla diffusione del virus HIV. Kenneth Mayer, professore di medicina all’università di Harvard, specializzato nella ricerca sull’HIV, in un’intervista al New York Times ha detto: «Abbiamo avuto e dato per decenni la raccomandazione di usare il preservativo. Ora diciamo: “ecco qui una pillola che potrebbe proteggerti se non usi il preservativo”. È contrario a tutte le norme della comunità».
Come ha scritto Slate, anche la “AIDS Healthcare Foundation” (organizzazione che si occupa di lotta all’AIDS, tra le più grandi al mondo) ha fatto pressioni sulla FDA affinché non avallasse l’uso del Truvada per le terapie di profilassi. Questa obiezione è ben riassunta in un articolo di David Duran pubblicato sullo Huffington Post e titolato in modo piuttosto eloquente: “Truvada Whores” (qualcosa come “Puttane del Truvada”).
Allora chi si fa prescrivere il Truvada? Ecco il problema. Nella mia esperienza sembra che un gran numero di quelli che corrono a farsi fare la prescrizione sono gay che preferiscono continuare a praticare sesso non sicuro. Alcuni argomentano che anche senza il Truvada questi uomini continuerebbero ad avere sesso non protetto, incluso sesso anale, e che prendere la pillola aiuterebbe a diminuire il rischio di infezioni. Quindi al posto di educare e promuovere pratiche di sesso sicuro, la FDA sta incoraggiando il sesso non protetto e così sta contribuendo alla diffusione di malattie sessualmente trasmissibili.
Secondo chi sostiene questa posizione, come ha spiegato Michael Weinstein, presidente della AIDS Healthcare Foundation, non è stato fatto abbastanza per promuovere l’uso dei profilattici, la loro reperibilità, e in generale l’importanza di fare sesso sicuro.
Le contro obiezioni
Un articolo pubblicato lo scorso settembre sulla rivista gay Out, intitolato “È il nuovo preservativo?”, ha proposto delle contro argomentazioni prendendo una posizione decisamente favorevole alla terapia. Intervistato da Out, Jim Pickett, presidente della AIDS Foundation od Chicago, ha spiegato che non si riuscirà mai a fermare la propagazione del virus HIV solo con i preservativi: vent’anni di pubblicità e promozione dell’uso del preservativo non hanno sortito gli effetti sperati, visto che ogni anno si registrano circa 50.000 nuove infezioni solo negli Stati Uniti. Secondo uno studio dello US Center for Desease Control (CDC), solo un uomo gay su sei usa il preservativo in modo costante, e anche in quei casi la protezione data dal profilattico non è superiore al 70 per cento. Inoltre bisogna considerare che chi si sottopone alla PreP è anche necessariamente soggetto a regolari controlli medici e questo, sostiene sempre l’articolo di Out, potrebbe avere ricadute positive sul modo in cui le persone trattano la propria salute sessuale, rendendole più attente.
Mark Joseph Stern, in un articolo su Slate, ha inoltre citato diversi studi che dimostrano come la credenza diffusa che la PreP avrebbe effetti dannosi sulle pratiche sessuali omosessuali sia in realtà una superstizione, definendo “paternalistica” l’argomentazione dei detrattori del Truvada: non ci sono prove a sostegno della tesi che chi assume il farmaco smetta di fare sesso protetto. Stern ha offerto allora una seconda motivazione alle critiche che stanno arrivando proprio dalle associazioni di attivisti per i diritti e la salute dei gay: la ragione della diffidenza è culturale piuttosto che medica. Secondo Stern, infatti, il dibattito sta portando alla luce una frattura tra due diverse generazioni di gay: quella che ha vissuto il dramma dell’HIV degli anni Ottanta, quando il numero di contagi e di vittime era altissimo, e quella che invece vede l’AIDS come poco più di una malattia cronica, con la quale si può convivere. Come ha spiegato anche il New York Times, “con l’avanzamento della qualità nelle terapie molti giovani non hanno avuto l’esperienza dei peggiori anni dell’epidemia e sono meno spaventati dalle conseguenze dell’infezione”. Questa differenza generazionale, tuttavia, potrebbe avere ricadute negative sulla lotta all’AIDS: il fatto che si parli, per esempio, di Truvada whores lascia presagire come si stia formando un pregiudizio nei confronti della PreP che potrebbe uscirne marginalizzata come strumento per la lotta all’AIDS.
La soluzione, come ha spiegato Kenneth Mayer in un’intervista alla radio NPR, è non presentare la PreP come “la soluzione” ma piuttosto come uno degli strumenti nella lotta alla diffusione dell’HIV: l’approccio non può essere «ecco la pillola, prendila, ti proteggerà», ma deve implicare delle più complesse strategie di prevenzione, come spiega anche l’articolo di Out:
Questo è il modo in cui i sostenitori della PreP vogliono presentarla: un altro strumento nel kit per la prevenzione dell’HIV, in combinazione con profilattici, monogamia, sicurezza condivisa, e con le cure costanti alle persone infettate. Per esempio, tu potresti essere in terapia e non usare i preservativi con il tuo ragazzo non sieropositivo, ma usarli invece quando ti diverti al di fuori della relazione. Oppure potresti usare la PreP per i periodi di tempo in cui hai più di un partner e smettere poi quando sei in una relazione.
foto: AP Photo/Niranajan Shrestha