L’attivista ucraino rapito, torturato e “crocifisso”
Dmytro Bulatov è stato ritrovato vivo 8 giorni dopo la sua scomparsa: l'opposizione parla di "squadre della morte", il governo dice che non c'entra niente
Uno dei più noti attivisti delle recenti proteste anti-governative in Ucraina, Dmytro Bulatov, è stato ritrovato giovedì sera in pessime condizioni vicino a Kiev, dopo che per otto giorni nessuno aveva avuto più sue notizie. Bulatov ha raccontato di essere stato rapito, picchiato e “crocifisso”, ma non sa dire da chi (ha specificato però che i suoi rapitori avevano un accento russo). Poi sarebbe stato lasciato per strada in un paese vicino a Kiev, a morire di freddo. Dopo il suo ritrovamento è stato portato immediatamente in ospedale: secondo il sito di news ucraino Gazeta.ua, i medici non hanno trovato danni agli organi interni, né alla testa. Serhiy Poyarkov, un attivista dello stesso gruppo di Bulatov, ha raccontato a Radio Liberty che i rapitori avrebbero rapito e torturato Bulatov per sapere «chi sta finanziando l’opposizione»: quindi il fatto avrebbe motivazioni politiche.
La polizia ha confermato che Bulatov è stato trovato con la faccia incrostata di sangue, molti segni di percosse e ferite di vario tipo – tra cui sembra dei segni di chiodi precedentemente conficcati nelle mani – e gli è stata tagliata una parte di un orecchio. Le autorità hanno detto di avere mandato qualcuno in ospedale per garantire la sicurezza di Bulatov e di avere aperto un’indagine per capire cosa sia successo.
Bulatov ha 35 anni, sposato con due figli, nella vita è proprietario di un garage, mentre nelle proteste di piazza è uno dei leader dell’organizzazione AutoMaidan, che nelle ultime settimane ha pattugliato le strade intorno a piazza Indipendenza e gli edifici governativi e residenze di alti funzionari del governo a Kiev. Quando le manifestazioni sono diventate violente – negli ultimi giorni sono morte 4 persone e diverse centinaia sono rimaste ferite negli scontri tra attivisti e forze di sicurezza – i giri di pattuglia di AutoMaidan si sono allargati e differenziati: gli attivisti del gruppo hanno iniziato a seguire i movimenti dei mezzi della polizia in tenuta antisommossa e a controllare che gli attivisti feriti e ricoverati negli ospedali non venissero arrestati. Bulatov, come altri di AutoMaidan, aveva ricevuto in passato delle minacce di morte.
La sera della scomparsa di Bulatov, il 23 gennaio, alcuni esponenti di AutoMaidan avevano raccontato di essere stati il bersaglio di un assalto violento compiuto da un gruppo di poliziotti e criminali sostenuti dal governo: gli assalitori avrebbero rotto i finestrini della macchina su cui si stavano muovendo gli attivisti, li avrebbero tirati fuori e li avrebbero picchiati (questa ricostruzione è stata negata dalla polizia). Le autorità, comunque, hanno detto di non essere in alcuna maniera coinvolte nel rapimento di Bulatov e non hanno diffuso nessun’altra dichiarazione a riguardo.
Le reazioni delle opposizioni e dei giornalisti ucraini al rapimento e alle torture raccontate da Bulatov sono state molto dure: il giornalista Vitaly Portnikov ha parlato della presenza di “squadre della morte” che starebbero operando in Ucraina, mentre Amnesty International ha descritto il rapimento di Bulatov come un «atto barbaro sui cui devono essere fatte delle indagini immediate». Il rapimento e le torture subite da Bulatov sono stati paragonati a quelli subìti da altri due attivisti all’inizio di gennaio. Il corpo di uno dei due uomini, il 50enne Yuriy Verbystskiy, è stato trovato praticamente congelato lo scorso 22 gennaio sul lato di una strada fuori Kiev, con segni di percosse molto evidenti. L’altro attivista rapito, Ihor Lutsenko, è riuscito invece a sopravvivere. Nell’ultimo mese gli attivisti avevano già denunciato altri casi di persone scomparse durante le proteste e poi ritrovate ferite negli ospedali o nelle stazioni di polizia: una settimana fa era anche girato molto online il video di un manifestante maltrattato dalla polizia a Kiev.