Leonarda Dibrani non potrà tornare in Francia
La quindicenne rom fermata di fronte ai suoi compagni di classe ed espulsa con la famiglia lo scorso ottobre dovrà restare in Kosovo, ha deciso un tribunale amministrativo
Martedì 28 gennaio il tribunale amministrativo di Besançon ha respinto le richieste di Leonarda Dibrani e della sua famiglia di poter tornare in Francia. Leonarda Dibrani, 15 anni, rom del Kosovo, era stata espulsa con i genitori e i sei fratelli dal paese lo scorso 9 ottobre, dopo che la polizia l’aveva fatta scendere dall’autobus sul quale si trovava insieme alla sua classe per fare una gita scolastica. La famiglia Dibrani potrà comunque presentare un ricorso contro la decisione del tribunale, ma non è ancora chiaro se lo farà. Nel motivare la decisione, i giudici hanno affermato che l’espulsione di ottobre non contraddice e non viola gli impegni internazionali assunti dalla Francia a rispettare i diritti della famiglia e dei bambini e che è stata dunque condotta secondo le regole.
Lo scorso ottobre il caso di Leonarda Dibrani aveva provocato forti reazioni in Francia, soprattutto contro il ministro dell’Interno, Manuel Valls, da tempo criticato per le sue posizioni molto dure nei confronti dei rom. Alle proteste, una decina di giorni dopo l’espulsione, il presidente François Hollande aveva risposto dichiarando che Leonarda Dibrani sarebbe potuta tornare in Francia per proseguire gli studi, purché da sola, senza la famiglia. La condizione era stata però immediatamente respinta dalla ragazza. Il governo aveva nel frattempo avviato un’indagine per stabilire se l’arresto e l’espulsione fossero stati illegali, concludendo invece che tutto il procedimento era avvenuto secondo la legge, nonostante fosse stato condotto con poca attenzione: Leonarda era entrata in Francia illegalmente 4 anni prima e risiedeva insieme con la sua famiglia in un centro di accoglienza per richiedenti asilo nel comune di Levier, nel dipartimento di Doubs, nella Francia orientale.
Attualmente Leonarda Dibrani e la sua famiglia si trovano a Mitrovica, in Kosovo, e sono venuti a sapere della decisione del tribunale al telefono: «Avrebbero fatto meglio a ucciderci perché qui non c’è vita, questa non è la giustizia, ma un’ingiustizia, io mi ucciderò, perché qui non abbiamo una vita» ha commentato la ragazza. E ancora: «Il mio paese è la Francia, qui abbiamo fame, siamo stati mandati a morire. L’avvocato ci ha detto di non disperare perché abbiamo il diritto di appello, ma io non credo nella giustizia».
Il padre di Leonarda, Resat Dibrani, che in passato aveva richiesto asilo politico diverse volte sostenendo di aver subito persecuzioni in Kosovo, il suo paese di origine, aveva anche ammesso di aver mentito nelle sue richieste circa l’origine della sua famiglia. Infatti, solo uno dei suoi figli era nato in Francia: gli altri sei in Italia, ma nessuno in Kosovo dove sono stati invece trasferiti e dove, in base alle sue prime dichiarazioni, sarebbero stati perseguitati. L’avvocato della famiglia Dibrani ha detto che in Kosovo i bambini non stanno comunque ricevendo un’istruzione adeguata e che il loro fondamentale diritto allo studio era stato violato. Ma l’avvocato di controparte ha risposto che «le loro richieste erano fondate su un miraggio e su una menzogna».
Foto: Resat Dibrabi, con le figlie Leonarda e Ljaria nella loro casa
di Mitrovica, in Kosovo, 28 gennaio 2014 (ARMEND NIMANI/AFP/Getty Images)