Il caso Electrolux
La multinazionale degli elettrodomestici ha proposto ai suoi stabilimenti italiani un piano che prevede esuberi e tagli, tra le proteste dei sindacati (e il governo in mezzo)
Electrolux è una multinazionale svedese con sede a Stoccolma che produce elettrodomestici per la casa e per uso professionale. Ha impianti in 25 paesi d’Europa e in Italia ha concentrato la maggior parte della sua produzione continentale: gli stabilimenti si trovano a Solaro (Lombardia), Porcia (Friuli Venezia Giulia), Forlì e Susegana (Veneto) e impiegano, secondo gli ultimi dati riferiti al 2012, un totale di 5.715 dipendenti.
A causa della crisi generale che ha colpito il mercato europeo, e dopo che i dati del terzo trimestre del 2013 avevano confermato un significativo calo dell’utile dell’azienda (-29 per cento), il gruppo ha deciso una serie di interventi annunciando, per esempio, 2.000 posti di lavoro tagliati a livello globale (di cui 1.500 in Europa). Negli stabilimenti italiani, in particolare, la multinazionale ha detto di aver individuato una scarsa competitività con i paesi dell’est e ha deciso di avviare un’indagine con i sindacati sulla sostenibilità di quegli impianti produttivi. I sindacati da subito hanno giudicato negativamente la situazione, facendo sapere che «quasi sempre le investigazioni hanno portato alla chiusura delle unità produttive che le hanno subite».
Dopo una serie di incontri preliminari, lunedì 27 gennaio si è svolta a Mestre una riunione tra i dirigenti della multinazionale e i sindacati, durante la quale l’azienda ha presentato i propri piani industriali per i 3 stabilimenti di Solaro, Forlì e Susegana – ma non per quello di Porcia, dove ogni decisione è stata rinviata all’aprile 2014 e dove sembrerebbe dunque confermata l’intenzione di chiudere e trasferire le linee produttive in Polonia.
Nel testo base della discussione con i sindacati – precisando che «non si tratta di decisioni, ma di ipotesi di lavoro» – Electrolux ha proposto una riduzione strutturale dell’orario di lavoro (da 8 a 6 ore) e una riduzione del costo dell’ora lavorata (cioè del rapporto tra il costo complessivo sostenuto rispetto alle ore effettivamente lavorate). Quest’ultima si dovrebbe realizzare attraverso la sospensione dei premi legati a produttività, redditività, qualità ed efficienza, attraverso la sospensione del pagamento delle festività che cadono di sabato e domenica, la riduzione del 50 per cento dei permessi sindacali, la riorganizzazione delle pause sull’orario a 6 ore, il congelamento degli scatti di anzianità e anche degli eventuali incrementi legati alla contrattazione nazionale. Tutte queste misure dovrebbero essere applicate ai quattro stabilimenti italiani e si tradurrebbero, concretamente, nella riduzione da 3 a 5 euro degli attuali 24 euro spesi in media all’ora per lavoratore. In termini di salario netto questo equivale a circa l’8 per cento di riduzione, ovvero a circa 130 euro al mese.
Nel documento sono stati poi presentati dei piani specifici per ciascuno stabilimento. Cambiano le cifre, ma i principi restano gli stessi per tutti: concentramento della produzione sui prodotti più competitivi e incremento delle prestazioni dei lavoratori per arrivare a un aumento della produzione del numero dei pezzi per ogni singola ora. Per Solaro, per esempio, è stato fissato l’obiettivo di 90 pezzi l’ora, con una produzione annua di 850 mila pezzi nel 2017 (contro i 661 mila del 2013). Tutto questo porterebbe comunque a nuovi esuberi: 331 per Susegana, 160 per Forlì, 182 per Solaro, cifre che si ridurrebbero se venisse accettata la proposta dell’organizzazione a 6 ore.
Per quanto riguarda Porcia, il documento si limita ad analizzare la differenza di costo tra una lavatrice prodotta nella fabbrica di Pordenone e la stessa lavatrice prodotta in Polonia: differenza che è di circa 30 euro a pezzo. Tutte le misure sul taglio del costo del lavoro e dei salari con le 6 ore lavorate porterebbe a un recupero di 7,5 euro che non sarebbe comunque sufficiente a colmare la differenza e a renderla accettabile. Restano da considerare, precisa Electrolux, «ulteriori potenziali proposte da parte di tutti gli attori coinvolti che consentano alla fabbrica di colmare i gap ancora presenti», ossia eventuali contributi di governo e regione. Ogni decisione sullo stabilimento di Porcia verrà comunque presa «entro e non oltre il 30 aprile di quest’anno».
Rocco Palombella, segretario generale della UILM presente all’incontro, ha detto che il piano presentato è «irricevibile». «Da tempo denunciavamo il rischio di desertificazioni industriali e le proposte di riorganizzazione ascoltate oggi a Mestre inducono il paese a rischiare tale disastro se il governo non riesce ad avanzare un piano organico di azioni mirate per tutelare il settore manifatturiero. Per quanto ci riguarda questo è il tempo della lotta dura e ad oltranza. Il governo, se c’è, almeno si faccia sentire». Le principali critiche sono state rivolte dai sindacati al ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato, accusato di essersi disinteressato della situazione e di cui, nei giorni scorsi, la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani – membro della segreteria del PD – aveva chiesto le dimissioni. Zanonato, dopo l’incontro di Mestre, ha commentato: «I prodotti italiani nel campo dell’elettrodomestico sono di buona qualità, ma risentono dei costi produttivi, soprattutto per quanto riguarda il lavoro, che sono al di sopra di quelli che offrono i nostri concorrenti: è necessario dunque ridurre i costi di produzione». Nel frattempo a Porcia è stato proclamato uno sciopero iniziato nel tardo pomeriggio di ieri.