7 cose sul discorso sullo stato dell’Unione
Aneddoti, vecchie foto e cose utili da sapere sull'evento politico più seguito in tv dagli americani e uno dei meno determinanti
di Francesco Costa – @francescocosta
Martedì 28 gennaio alle 21, quando in Italia saranno le tre del mattino di mercoledì 29, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama rivolgerà al Congresso il discorso sullo stato dell’Unione: tradizionale appuntamento annuale della politica statunitense, visto da qui è una cosa a metà tra il discorso di insediamento con cui un presidente del Consiglio chiede la fiducia e il discorso di fine anno del presidente della Repubblica.
1. Cosa dirà Obama
Il discorso di stasera arriva in una situazione paradossale, come fa notare il New York Times: negli ultimi sei anni questo è sicuramente il momento migliore per l’economia statunitense e il momento peggiore per la popolarità di Barack Obama. Dal punto di vista economico tutti gli indicatori mostrano che il 2014 dovrebbe essere un vero anno di svolta, con i tassi di crescita più alti dal 2005; ma gli americani negli ultimi mesi hanno visto Obama alle prese soprattutto con le faticosissime trattative con i repubblicani sul bilancio dello Stato, con la complicata entrata in vigore della riforma sanitaria e con le polemiche sulla sorveglianza della National Security Agency.
Secondo le previsioni, Obama si prenderà almeno parte del merito delle buone condizioni del paese, citando gli economisti per cui “lo stato dell’Unione è il migliore che si sia visto in anni”, e prometterà di usare di più i poteri e gli strumenti a sua disposizione per avanzare riforme economiche aggirando l’immobilità del Congresso e l’ostruzionismo dei repubblicani – per questo Slate oggi parla di “presidente MacGyver”, in riferimento al personaggio di quella serie tv che sapeva risolvere situazioni complicatissime con due o tre attrezzi. Ma in pochi pensano che questo discorso cambierà le cose: la storia dice che il discorso sullo stato dell’Unione è allo stesso tempo l’evento politico più seguito in tv negli anni non elettorali e uno dei meno determinanti.
2. Perché si fa questo discorso?
La Costituzione degli Stati Uniti prevede che “di tanto in tanto” – “he shall from time to time” – il presidente dia informazioni al Congresso riguardo lo stato della nazione e i suoi programmi per il futuro. Nel tempo l’appuntamento ha assunto una scadenza fissa, che non è prevista dalla legge: una volta l’anno, tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, il presidente degli Stati Uniti riferisce al Congresso in seduta plenaria alla presenza dei membri del governo e della Corte Suprema, per rendere conto delle condizioni della nazione e descrivere le sue priorità per l’anno a venire.
Il discorso si tiene alla Camera, che ospita anche i cento membri del Senato. Accanto allo speaker della Camera siede il vicepresidente degli Stati Uniti, in questo momento Joe Biden, che è anche presidente del Senato. Questo è il sesto gennaio di Obama da presidente ma quello di stasera sarà il suo quinto discorso sullo stato dell’Unione: il suo primo, quello del 2009, tecnicamente non fu un discorso sullo stato dell’Unione bensì un semplice discorso alla seduta plenaria del Congresso: questo perché si presume che il presidente non possa ancora rendere conto al Congresso sullo stato dell’Unione, essendosi appena insediato.
3. Che cos’è, concretamente?
È un discorso lista-della-spesa, di quelli con dentro un po’ di tutto: infatti viene scritto nell’arco di mesi e praticamente a strati, con la collaborazione di tutti i settori del governo. Forse anche per questo, al contrario di quanto accada di tanto in tanto con singoli discorsi su singole questioni, non si registrano quasi mai oscillazioni della popolarità di un presidente dopo il discorso sullo stato dell’Unione, né grandi conseguenze politiche. Le riforme promesse spesso restano in aria, perché persino nel sistema presidenziale statunitense serve il voto del Congresso per fare le cose – e il Congresso negli ultimi quattro anni ha ostacolato quasi tutte le iniziative legislative di Obama. Quello che il discorso fa, di tanto in tanto, è produrre frasi e definizioni che passano alla storia: fu durante un discorso sullo stato dell’Unione, per esempio, che Bill Clinton disse “l’era del governo onnipotente è finita”, nel 1996; fu nel 2001 che George W. Bush parlò di “asse del male” relativamente ai paesi che sostenevano il terrorismo. Anche per questo da tempo molti sostengono che il discorso sia diventato un irrilevante “esercizio di esibizionismo politico”, come l’ha messa pochi giorni fa George F. Will sul Washington Post.
4. Un minimo di storia
Il primo discorso sullo stato dell’Unione lo fece George Washington nel 1790. Nel 1801 Thomas Jefferson interruppe la tradizione, limitandosi a inviare al Congresso una copia scritta del discorso: pronunciarlo in aula gli sembrava un tentativo di scimmiottare il “discorso del trono” che si teneva abitualmente in Regno Unito. La tradizione fu reintrodotta da Woodrow Wilson nel 1913, sebbene con qualche eccezione. Nel 1981, per esempio, Jimmy Carter inviò al Congresso una copia scritta del discorso: e quella fu anche l’ultima volta che un presidente uscente, sconfitto alle elezioni di novembre ma ancora in carica per qualche giorno, decise di diffondere un discorso sullo stato dell’unione. Da quel momento in poi, comunque, nessun presidente rinunciò più alla possibilità di occupare un’ora di spazio televisivo in prima serata senza poter essere contraddetto e soprattutto senza spendere un dollaro.
5. Il “sopravvissuto designato”
Durante il discorso tutti i deputati, tutti i senatori, tutti i membri del governo, i giudici della Corte Suprema, il presidente e il vicepresidente degli Stati Uniti sono riuniti nello stesso posto. Per quanto il Congresso sia blindato e super protetto – Obama è difeso a stretta distanza dalla scorta anche quando si trova dentro l’aula – si tratta di una circostanza piuttosto pericolosa: in caso di attentato, esplosione, bombardamento, aereo di linea dirottato, eccetera, gli Stati Uniti si troverebbero decapitati, privi di qualsiasi forma di autorità nazionale riconosciuta. Per questa ragione ogni volta che un presidente si rivolge al Congresso in seduta plenaria – quindi anche ma non solo durante il discorso sullo stato dell’Unione – c’è un solo membro del governo che non partecipa all’evento: se ne sta da un’altra parte, in una località sconosciuta e sicura, e fa il designated survivor, il sopravvissuto designato, pronto a guidare la nazione dovesse accadere il patatrac.
La pratica è stata istituita durante la Guerra fredda, nel timore di un attacco nucleare. Durante il discorso sullo stato dell’Unione, al designated survivor viene assegnato un servizio di protezione speculare e identico a quello solitamente riservato ai presidenti, compreso un accompagnatore che porta con sé la famosa valigetta con i codici nucleari. In momenti particolarmente complicati della storia degli Stati Uniti, il designated survivor è stato addirittura il vicepresidente, così da assicurare al paese una leadership forte in caso di catastrofe: nel 2001, durante il discorso del presidente Bush in seguito agli attentati dell’11 settembre, il designated survivor fu proprio il vice presidente Cheney. Non è ancora noto chi sarà stasera il designated survivor. In una celebre scena della serie tv The West Wing, il presidente Bartlet spiega al designated survivor cosa dovrà fare in caso di guai.
6. Un album fotografico storico, pieno di cose
7. Il contro-discorso
È tradizione che il partito di opposizione tenga una “risposta” al discorso del presidente, trasmessa dai network televisivi poco dopo la fine del discorso al Congresso. È un modo per catalizzare l’attenzione dei mezzi di comunicazione e per fornire una risposta immediata alle affermazioni del presidente, anche se non è uno strumento di grande efficacia: non si ricordano grandi e storiche risposte ai discorsi presidenziali, mentre invece sentire un discorso normale da un luogo normale da parte di un politico normale, spesso sconosciuto ai più, poco dopo la massima solennità del discorso del presidente al Congresso, finisce spesso per mettere in imbarazzo e ridimensionare l’opposizione stessa, piuttosto che giovarle. Negli ultimi quattro anni i discorsi di risposta a Obama sono stati fatti da politici repubblicani molto in vista: l’ex governatore della Virginia McDonnell, il deputato e già candidato alla vicepresidenza Paul Ryan, il governatore dell’Indiana Mitch Daniels e il senatore Marco Rubio. Nessuno di questi discorsi è stato indimenticabile (quello di Rubio si ricorda principalmente per via di una bottiglietta d’acqua). Stasera il discorso di risposta sarà pronunciato dalla deputata Cathy McMorris Rodgers, eletta dal 2004 a Washington: è la capogruppo dei repubblicani alla Camera e la donna repubblicana di più alto rango al Congresso.