Quelli contro Twitter, che noia
Sul New York Times Roger Cohen si meraviglia della sua generazione di cinquanta-sessantenni incapaci di capire il cambiamento, come i loro genitori
Roger Cohen, un esperto giornalista inglese che si è occupato molto di esteri per il New York Times (e prima al Wall Street Journal) e oggi – che ha 58 anni – ha una column fissa sul quotidiano, ha pubblicato lunedì una severa critica nei confronti dei critici routinari delle depravazioni indotte da internet e da Twitter ai tempi correnti.
Viviamo nell’era noiosa della caccia a Twitter. A chi è di una certa generazione, è difficile non capiti di trovarsi in mezzo a una conversazione a cena che va sempre a finire su calo dell’attenzione, schiavitù delle tecnologie, triste superficialità e narcisismo online delle giovani generazioni dedicate a una vita in 140 caratteri o meno.
Devi nasconderti sotto il tavolo o morderti le labbra mentre intorno a te monta un’altra geremiade sulle depravazioni dei social media. I monitor che hanno preso il sopravvento. Le relazioni che non sono più quelle di una volta. Le esperienze vere che stanno sparendo. È come se la generazione dei baby boomers fosse stata colpita da un’amnesia collettiva sul fatto che i nostri genitori, identicamente, non capivano niente di come comunicavamo, che relazioni avevamo, come ci accoppiavamo.Non ne avevano idea. E noi nemmeno.
Cohen prosegue dicendo che “sono più le cose che restano uguali, di quelle che cambiano”. E tra queste le dinamiche di pensiero delle persone che invecchiano, per quanto lucide e aperte siano convinte di essere. Non si accorgono che la loro irritazione rispetto a Twitter, Snapchat e al resto è un’irritazione nei confronti del nuovo e che i maggiori fattori del loro borbottare sono la mancanza di comprensione e inettitudine rispetto al cambiamento. Come avvenne con i monaci sconvolti dalla fine dei manoscritti al tempo dell’invenzione della stampa.
Parlando di Twitter, per esempio, Cohen spiega che solo una comprensione superficiale indica sua peculiarità la cosa dei 140 caratteri: l’immediatezza di Twitter è completata dalla sua attitudine verso l’esterno, “la cui essenza è il link”, attraverso il quale si raggiungono infiniti contenuti e approfondimenti, che rendono i tweet di fatto lunghissimi, non brevi. E Twitter un grande mezzo per perdere tempo e imbattersi in cose inattese e ricche.
Ripetete con me: Non mi lamenterò più dei social media né giudicherò le abitudini di una generazione che non capisco.
Quelli come Cohen – dice Cohen – nati grossomodo intorno alla metà degli anni Cinquanta dovrebbero ricordarsi della loro fortuna, di essere capitati a metà tra la bomba atomica e “Rubber Soul” dei Beatles, all’inizio di un boom che sarebbe durato decenni, dalla parte libera della Cortina di Ferro, e in tempo per vedere una serie mai vista di grandi cambiamenti. Non possono essersi dimenticati che le cose non sono sempre andate così bene, e l’amore non è sempre stato così libero: le distanze tra noi e i nostri genitori non sono state facili da colmare. Non possiamo essere vittime di queste amnesie quando si tratta di Facebook e della sua nuova generazione.
E per quanto il cambiamento che vediamo possa essere sconcertante – Cohen dice che Philip Roth forse ha ragione: «Prevedo che tra 30 anni se non prima le persone che leggono letteratura in America saranno quante quelle che oggi leggono poesia in latino» – probabilmente non abbiamo idea di quali sono le nuove forme di piacere e i risultati che possono portare. E ci sono verità eterne, come quelle esposte da Walter Benjamin: «Il lavoro su una buona opera di scrittura procede su tre livelli: quello musicale della sua composizione; quello architettonico della sua costruzione; quello tessile del suo ricamo».
Col tempo, lo scopriranno anche loro. E se non lo scoprono, va bene lo stesso.