L’attentato nel ristorante a Kabul
Un attentatore suicida e due uomini armati hanno provocato un'esplosione e una sparatoria in cui sono morte almeno 21 persone e altre 5 sono rimaste ferite
Nella tarda serata di venerdì 17 gennaio almeno 21 persone sono morte a Kabul, in Afghanistan, a causa di un attacco esplosivo in un ristorante del centro della città, cui è seguita una sparatoria. Oltre alle persone morte, 13 delle quali provenienti dall’estero (canadesi, libanesi, due statunitensi e un inglese), almeno altre cinque sono rimaste ferite. Il ristorante era specializzato in cibo libanese ed era abitualmente frequentato da diplomatici e operatori umanitari: nell’attentato, secondo le autorità locali, sono morti tra gli altri un alto funzionario del Fondo monetario internazionale e quattro dipendenti delle Nazioni Unite.
Secondo il vice ministro degli Interni afghano, si è trattato di un attacco congiunto: l’esplosivo sarebbe stato collocato da un attentatore suicida all’esterno del ristorante, mentre altri due uomini armati, già all’interno del locale, sarebbero entrati subito dopo e avrebbero iniziato a sparare “indiscriminatamente” contro i clienti. Gli agenti di polizia sono intervenuti e hanno ucciso gli attentatori nella sparatoria che ne è seguita. L’attentato – in cui sono morte anche quattro donne e il proprietario del ristorante, un personaggio molto noto a Kabul – è stato rivendicato dai talebani, che hanno confermato che l’obiettivo esplicito dell’attacco era colpire i funzionari stranieri.
La direttrice del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, ha confermato la morte di una funzionaria libanese di sessanta anni, Wabel Abdallah, mentre il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon ha duramente condannato l’attacco, che per numero di stranieri occidentali coinvolti è uno dei più grandi dal 2001: negli ultimi anni, scrive il New York Times, attacchi simili avevano prodotto molti titoli sui giornali, ma causato un numero relativamente ridotto di morti.
Lo scorso novembre un’assemblea di leader politici, militari e religiosi, aveva dato parere positivo all’approvazione di un patto di sicurezza che consenta a migliaia di soldati statunitensi di restare nel paese anche dopo la fine del 2014, con particolari tutele riguardo alla loro immunità giudiziaria. Il presidente afghano Hamid Karzai aveva quindi fatto sapere di voler rimandare ogni decisione a dopo le elezioni presidenziali, previste per aprile 2014.