È morto “l’ultimo soldato giapponese”
Hiroo Onoda aveva 91 anni: continuò a combattere nelle Filippine per quasi 30 anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale
Hiroo Onoda è morto ieri giovedì 16 gennaio a causa di un infarto: aveva 91 anni e dal 6 gennaio scorso era ricoverato in un ospedale di Tokyo. Non l’avete mai sentito nominare, ma avete sicuramente sentito parlare di lui: fu il leggendario ultimo soldato dell’esercito imperiale giapponese che continuò a combattere per decenni sull’isola filippina di Lubang nonostante il Giappone si fosse arreso e la Seconda guerra mondiale finita. Quello da cui viene il modo di dire “l’ultimo giapponese” per descrivere chi resiste inutilmente a cambiamenti già avvenuti e accettati dalla collettività.
Quando Hiroo Onoda aveva poco più di vent’anni, fu addestrato nei servizi segreti a Nakano. Nel libro in cui racconta la sua storia, pubblicato anche in Italia con il titolo “Non mi arrendo”, dirà:
«In un certo senso, l’addestramento che ricevemmo può essere paragonato a ciò che è comunemente chiamato “educazione liberale”. Ci veniva lasciato un buon margine di autonomia. Eravamo incoraggiati a pensare con la nostra testa, a prendere decisioni in assenza di regole definite. Anche sotto questo punto di vista l’addestramento era molto diverso da quanto avevamo esperimentato alla scuola per ufficiali. Là ci avevano insegnato a non pensare ma a guidare i nostri soldati in battaglia, decisi a morire se necessario. L’unico obiettivo era quello di attaccare i soldati nemici e di annientarne il maggior numero possibile prima di essere a nostra volta annientati. Invece a Futamata imparammo che dovevamo rimanere in vita e proseguire la nostra guerra di guerriglia il più a lungo possibile, anche se ciò comportava una condotta normalmente considerata disonorevole. Il problema della sopravvivenza doveva essere risolto individualmente»
Il 30 dicembre del 1944 Onoda fu assegnato a Lubang, nelle Filippine, con il compito di difendere l’isola dall’imminente sbarco degli Alleati, che avrebbero utilizzato l’arcipelago come base per attaccare direttamente il Giappone. Onoda e il suo esercito (privo di armamenti e composto solo da pochi uomini) si rifugiarono nella giungla al centro dell’isola e diedero inizio a una e vera propria guerriglia. Passò il tempo e quando il 2 settembre del 1945 il Giappone firmò la resa nella Baia di Tokyo, la notizia arrivò con grande ritardo ai soldati giapponesi nascosti nelle Filippine: la maggior parte di loro si arrese solo nella primavera del 1946.
Onoda, rimasto al comando di tre soli uomini (Yuiichi Akatsu, Shoichi Shimada e Kinshichi Kokuza), non volle credere che la guerra fosse finita: era stato addestrato a non arrendersi e a non prendere per vera alcuna informazione che non provenisse dai suoi diretti superiori. E continuò a combattere: lui e i suoi uomini attaccarono molti villaggi locali e uccisero 30 persone, credendole dei nemici. Nel 1949 il soldato Yuiichi Akatsu decise di disertare e di arrendersi: tornato in Giappone, raccontò la storia dei suoi compagni e il governo cominciò le ricerche. Nel 1952 un aereo lanciò lettere, ritagli di giornali e foto di famiglia nel punto dove si trovavano i soldati, per cercare di convincerli ad arrendersi. Loro non le ritennero autentiche ma frutto di un complotto, e continuarono la guerra.
Nel frattempo Shoichi Shimada venne ucciso in uno scontro a fuoco nel 1950; nel 1972 morì anche Kinshichi Kokuza. Onoda rimase solo per due anni fino a quando (racconta nella sua autobiografia) il 20 febbraio del 1974 incontrò Norio Suzuki, uno studente hippie partito alla sua ricerca:
«Parlammo per un paio d’ore, e poi mi chiese: “Cosa posso fare per convincerla a uscire dalla giungla?”. “Esattamente quello che è scritto nei giornali” risposi. “Il mio immediato superiore è il maggiore Taniguchi. Mi arrenderò soltanto quando riceverò ordini direttamente da lui”». (…) «Il maggiore Taniguchi conosceva alla perfezione la natura degli ordini che avevo ricevuto prima di essere mandato a Lubang, e sapeva che non avrei potuto lasciare l’isola a meno che quegli ordini non venissero formalmente revocati».
Nel 1945, poco prima dell’arrivo degli americani, Taniguchi ordinò a Onoda di continuare a combattere, «anche se dovessero volerci tre anni o cinque anni», e gli disse anche: «qualsiasi cosa accada ti riporteremo a casa». Nel 1974 le autorità trovarono Taniguchi, che nel frattempo era diventato un libraio; Taniguchi raggiunse Onoda con una delegazione del governo, gli ordinò di arrendersi. Onoda si convinse così che la guerra era finita: decise, piangendo, di deporre il suo fucile ancora perfettamente funzionante. Fu graziato dal presidente Ferdinand Marcos per le uccisioni dei trenta contadini filippini. Durante la sua resa formale, indossava l’uniforme vecchia di 30 anni: quando fece ritorno in patria di anni ne aveva 52. Gli chiesero a cosa avesse pensato in tutti quelli anni di giungla e lui rispose: «Niente, a compiere il mio dovere».
Rientrato in Giappone, Hiroo Onoda ricevette grandissima attenzione da parte dei media e dell’opinione pubblica (gli fu anche chiesto di candidarsi in Parlamento). Un anno dopo, nel 1975, decise di emigrare in Brasile dove viveva il fratello. Si sposò e tornò in Giappone solo nel 1984, dove fondò un istituto di riabilitazione per i ragazzi, lo Onoda Shizen Juku. Nel 1996 fece ritorno nell’isola di Lubang, chiedendo nuovamente scusa e lasciando una donazione da destinare alle scuole del posto.