La squadra di Gerusalemme
La storia del Beitar Football Club, composta solo da calciatori ebrei, e di "una delle più facinorose, xenofobe, razziste e violente tifoserie al mondo"
Fabrizio Gabrielli ha raccontato sulla rivista online Ultimo Uomo la storia del Beitar, una squadra calcistica di Gerusalemme il cui gruppo principale di ultras – La Familia – è formato da rumorosi e convinti sostenitori del sionismo. Il gruppo ha avuto a lungo grande potere e influenza sulla società, che di conseguenza non ha mai acquistato un giocatore arabo o musulmano. Il Beitar è stato a lungo la seconda squadra di Gerusalemme, ma dagli anni Ottanta in poi l’Hapoel Gerusalemme ha avuto grandi difficoltà e oggi gioca in seconda divisione.
Miri Regev è nata a soli settanta chilometri da Gerusalemme. Ex brigadiere dell’esercito, parlamentare del Knesset israeliano in quota Likud, il partito conservatore, Miri Regev voglia di scherzare ne ha poca. Lo scorso 30 dicembre non ha perso occasione per unirsi al fiume in piena delle proteste e dire la sua (al quotidiano Haaretz) sulla quenelle di Anelka. La quenelle è quel gesto di discutibile gusto inventato dal comico-maître-à-penser-antisionista francese Dieudonné, una sorta di saluto nazista rovesciato, la stilizzazione di un tronco mozzato da trascinare “in culo al sionismo”. «Quel giocatore dovrebbe essere escluso per sempre dalle competizioni sportive. Lo sport non può essere utilizzato per incitare l’odio razziale», ha affermato la Regev. Poche ore dopo, nel quartiere Malha di Gerusalemme, mentre il locale Beitar affrontava il Maccabi Petah Tikva, c’è chi giura d’aver visto Miri Regev sostenere i gialloneri seduta nelle gradinate est del Teddy Stadium. Il Beitar è l’unica squadra d’Israele che in novant’anni di vita—novanta—non ha mai annoverato tra le sue fila uno-che-fosse-uno calciatore arabo. Ma la presenza della Regev ha destato scalpore e sollevato perplessità soprattutto perché quel settore, la gradinata Est, è il cuore pulsante de La Familia, la frangia di tifosi celebre, oltre che per il fanatico sostegno alla causa sionista, per essere una delle più facinorose, xenofobe, razziste e violente tifoserie al mondo. Tristemente famosa proprio perché, da sempre, non si fa remore ad asservire lo sport al sordido fine d’incitare all’odio contro arabi e musulmani.
«Cosa rende noi [del Beitar, NdR] così diversi dagli altri? Non siamo la squadra che ha vinto più campionati, né la squadra con la migliore reputazione. Quel che ci rende diversi—prima di tutto—è il fatto d’essere la squadra di Gerusalemme. E c’è solo una città, al mondo, poi ci sono tutte le altre città. La seconda cosa che ci rende così diversi, poi, è quella d’avere una tifoseria fanatica, emozionale.» Parola di Itzikh Kornfein, storico portiere e capitano della compagine gerosolimitana, oggi CEO del club.
Il Beitar Gerusalemme Football Club è nato nel 1936 come diretta emanazione sportiva del movimento sionista Beitar, fondato nel 1927 a Riga, in Lettonia, dallo scrittore, traduttore e poeta Ze’ev Jabotinsky e modellato sugli ideali di coraggio, dignità, onore, difesa dello stile di vita ebraico. Il Beitar (il movimento, non la squadra) si batteva per promuovere la creazione di uno Stato di Israele libero dalle ingerenze straniere. Vedeva nel Sionismo militarizzato l’unica risposta possibile ai sentimenti antisemitici che s’aggiravano per tutta l’Europa.
Non è poi troppo strano che esista una squadra così strettamente connessa a un movimento politico. Non in Israele, almeno, dove anche i vari Maccabi e Hapoel sono la gamba armata (di scarpini) delle ali, rispettivamente, più moderata e laburista. Il Beitar è invece figlio del movimento di Jabotinsky, e i suoi tifosi hanno scelto di ispirarsi al partito nazionalista-religioso di stampo neosionista Kach, oggi dichiarato illegale, il cui credo era quello di difendere Israele, la Terra Promessa agli Ebrei.