IBM si affida a Watson
Non è il nome di un dirigente ma un ambizioso programma di intelligenza artificiale, nel quale la società investirà un miliardo di dollari (tra qualche scetticismo)
Giovedì 9 gennaio la società informatica americana IBM ha annunciato che investirà un miliardo di dollari in una nuova divisione dedicata esclusivamente al “cognitive computing” e in particolare allo sviluppo e alla commercializzazione di servizi e applicazioni per le aziende basati sui sistemi di intelligenza artificiale. La nuova unità si chiamerà Watson Business Group e prende il nome da uno dei progetti più ambiziosi di IBM: “Watson” (dal nome del primo presidente di IBM) è il nome dell’intelligenza artificiale che nel 2011 batté – ritagliandosi molto spazio sui media – due campioni di telequiz in un noto programma televisivo statunitense, Jeopardy!.
Jeopardy! va in onda sulla rete NBC: è un quiz televisivo in cui occorre fornire domande esatte a una serie di risposte che vengono formulate dal conduttore (in pratica è il rovesciamento del format classico). Tra il 14 e il 16 febbraio 2011 Watson partecipò al programma e batté i suoi due avversari umani, Brad Rutter e Ken Jennings, due campioni di telequiz.
La partecipazione al programma rese noti i progressi della ricerca e i grossi investimenti da parte di IBM nel campo del cognitive computing. Nonostante il notevole recente investimento da parte di IBM e la fiducia più volte manifestata dai responsabili del progetto, diversi osservatori ritengono però che l’operazione potrebbe incontrare difficoltà non dal punto di vista tecnico – la ricerca ha già ottenuto risultati per molti versi sorprendenti – ma piuttosto da quello commerciale: il difficile, a detta di molti, non sarà realizzare servizi efficienti di intelligenza artificiale ma riuscire a “piazzarli” sul mercato.
L’obiettivo di IBM è sfruttare e ampliare il team di ricerca che lavora sul programma Watson – portandolo a 2500 dipendenti, solo in questa divisione – per realizzare software in grado di fornire analisi dei dati in campo medico-sanitario, ma anche bancario e assicurativo. I dati di cui si parla sono i cosiddetti “big data”: grandi e complesse quantità di dati all’interno delle quali trovare dei pattern, delle strutture ricorrenti, allo scopo di estrarre maggiori informazioni rispetto a quante se ne ricavano dall’analisi di piccole quantità. I responsabili del programma hanno dimostrato grande fiducia nelle potenzialità del progetto. L’amministratore delegato di IBM, Virginia Rometty, ha detto che Watson «fa molto più che trovare un ago nel pagliaio» e cioè «comprende il pagliaio, comprende il contesto»: Rometty ha previsto che il Watson Business Group genererà entro i prossimi dieci anni un giro di affari da 10 miliardi di dollari di ricavi all’anno.
Pur avendo richiamato più volte l’attenzione da parte dei media – soprattutto nel febbraio 2011, dopo la vittoria di Watson a Jeopardy! – finora il lavoro di IBM sull’intelligenza artificiale non ha prodotto utili significativi per l’azienda. Secondo il Wall Street Journal Watson ha finora generato ricavi inferiori ai 100 milioni di dollari. Michael Rhodin, a capo della nuova divisione di IBM, ha tentato di renderne conto dicendo che la natura stessa della tecnologia sviluppata da Watson ha portato a inevitabili ritardi della ricerca, prima ancora che la tecnologia potesse essere implementata in nuovi settori. «Ora Watson è più piccolo, più efficiente e 24 volte più veloce di quanto non lo fosse quando vinse a Jeopardy!», ha detto Rhodin.
Secondo l’Economist, sebbene i profitti di IBM – che è una società quotata in borsa – siano cresciuti, gli investitori sono diventati piuttosto scettici e le azioni sono calate del 13 per cento rispetto al picco raggiunto a marzo 2013. Molti azionisti ritengono che il prezzo delle azioni non riuscirà a raggiungere la cifra di 20 dollari di guadagni per azione promesso da Rometty per il 2015 all’inizio del suo incarico, nel 2012. Henry Morris, un analista della società di consulenza IDC interpellato dal New York Times, ha detto che IBM dovrebbe concentrare maggiormente la ricerca ed essere un po’ più precisa sulla potenziale offerta di Watson: «I Big Data non sono un valore di per sé, bisogna offrire consigli su cosa fare, mostrare alle persone non semplici analisi bensì azioni».
IBM – che ha sede ad Armonk, nello Stato di New York, ed è nota anche con il soprannome “Big Blue” – è oggi la terza più grande azienda tecnologica al mondo nel settore informatico, e nel 2011 arrivò a superare Microsoft al secondo posto, alle spalle di Apple. Fin dagli anni Quaranta IBM aveva già filiali in 80 paesi nel mondo (tra cui l’Italia, dal 1927), e dagli anni Novanta – grazie allo sviluppo delle tecnologie informatiche – è sempre stata tra i primi produttori mondiali di computer, elaboratori di dati di grandi dimensioni, nanotecnologie e altro hardware e software. Oggi ha filiali in oltre 130 paesi del mondo.