È morto Ariel Sharon
Aveva 85 anni e da otto era in stato vegetativo: fu primo ministro di Israele e uno dei politici più importanti e controversi del paese
L’ex primo ministro israeliano Ariel Sharon è morto oggi, sabato 11 gennaio, all’ospedale Sheba di Tel Ashomer, vicino a Tel Aviv, dove si trovava ricoverato dal maggio del 2006. Aveva 85 anni ed era in stato vegetativo permanente da 8. Nelle ultime ore le condizioni di Sharon erano ulteriormente peggiorate e i medici avevano previsto che a causa di una grave insufficienza renale non sarebbe riuscito a sopravvivere più di qualche giorno. A settembre 2013 era stato sottoposto ad un intervento chirurgico all’addome per un problema al sistema che lo alimentava per via endovenosa, e da allora le disfunzioni si erano moltiplicate rendendo necessario il suo trasferimento nel reparto di rianimazione un mese fa.
Ariel Sharon fu colpito da un lieve ictus il 18 dicembre del 2005, ma si riprese rapidamente. In quei mesi era impegnato a lanciare il nuovo partito centrista Kadima e nella campagna elettorale in vista delle elezioni politiche del gennaio 2006, da primo ministro uscente e nuovamente candidato all’incarico. Il 4 gennaio del 2006 fu però colpito da un secondo ictus molto più grave mentre si trovava nella sua fattoria di Havat Shikmim, nel nord del deserto del Negev: arrivò all’ospedale Hadassah di Gerusalemme già in coma, subì una lunga serie di operazioni e non si riprese più.
Al momento dell’ictus era primo ministro israeliano dal 2001, ma la sua carriera politica era iniziata molto prima, con parecchi incarichi di governo. Sharon era ampiamente considerato come un rappresentante della linea dei “falchi”, meno propensa a fare concessioni nei rapporti con i palestinesi, questione centrale della politica israeliana. Dopo essersi costruito una solida reputazione come difensore dei coloni ed essere stato eletto nel partito di destra Likud, Sharon stupì molti mettendo in atto il ritiro dei soldati e l’abbandono degli insediamenti nella Striscia di Gaza, nell’estate del 2005. Tra agosto e settembre, i coloni che non avevano accettato il piano di Sharon nella ventina di insediamenti della Striscia (e in quattro insediamenti nel nord della Cisgiordania compresi nel piano) furono sgomberati con la forza dall’esercito. Poco tempo dopo, Sharon annunciò l’abbandono del Likud, mentre le sue ultime mosse gli avevano attirato grandi critiche dall’ala destra del suo partito e un inedito supporto dall’elettorato di sinistra. Nel novembre 2005 Sharon fondò Kadima, un partito centrista e liberale. Nella cruciale questione israelo-palestinese, Kadima portava avanti il principio del “riallineamento”, ovvero del ritiro parziale da alcune zone della Cisgiordania occupata.
Prima di entrare in politica, Sharon ha avuto una lunga carriera nell’esercito israeliano. Dopo la nascita dello stato ebraico, combatté in tutte le guerre in cui venne coinvolto Israele, a cominciare da quella arabo-israeliana del 1948-1949. Nel corso degli anni Cinquanta partecipò a molte azioni militari punitive contro i palestinesi. Durante la guerra dei Sei giorni, nel giugno 1967, era al comando di una divisione – in quella guerra Israele conquistò Gerusalemme Est, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Sei anni dopo guidò il contrattacco decisivo durante la guerra dello Yom Kippur, il breve conflitto tra Israele, Egitto e Siria dell’ottobre 1973. Quello stesso anno venne eletto per la prima volta al parlamento israeliano, la Knesset. Il suo primo incarico di governo, alla fine degli anni Settanta, fu quello di ministro dell’Agricoltura.
Nel 1982 era ministro della Difesa quando nei due campi di Sabra e Chatila alla periferia di Beirut, in un’area controllata direttamente dai militari israeliani, vennero uccisi da miliziani cristiani centinaia di profughi palestinesi: una commissione d’inchiesta israeliana, la Commissione Kahan, stabilì pochi mesi dopo che Sharon era “personalmente responsabile” per non aver fatto nulla per evitare il massacro. Di conseguenza, dopo alcune iniziali resistenze, Sharon fu rimosso dal suo incarico di ministro della Difesa (ma restò nel governo di Menachem Begin come ministro senza portafoglio). Nei primi anni Novanta, da ministro per l’Edilizia, decise la più grande fase di espansione degli insediamenti ebraici a Gaza e in Cisgiordania dal 1967: gli stessi che, dieci anni dopo, decise di far sgomberare.