Cos’è la TASI
È tornata su tutte le prime pagine, dopo una decisione del governo: guida minima alla nuova tassa che sostituisce l'IMU, per districarsi tra acronimi e aliquote
La TASI è di nuovo oggi su tutte le prime pagine dei giornali: è la nuova tassa annuale sui servizi – l’acronimo sta per “Tassa sui Servizi Indivisibili”, per esempio la manutenzione stradale o l’illuminazione comunale – che a partire dal 2014 sostituirà l’IMU. Come l’IMU, si calcola sulla base imponibile della rendita catastale della prima casa di proprietà (mentre sulle eventuali altre proprietà resterà in vigore l’IMU): il prodotto fra l’ampiezza della casa e una tariffa calcolata dall’Agenzia del Territorio che varia da comune a comune, il tutto moltiplicato per un fattore proprio alla categoria catastale della propria casa. Di conseguenza non viene considerato il valore di mercato degli immobili al momento del pagamento: contano solo l’estensione della casa, il territorio dove è costruita e la sua “categoria catastale”. La pagherà anche chi abita in affitto, in una quota variabile fra il 10 e il 30 per cento dell’intera tassa (deciderà il Comune).
Secondo un calcolo del Corriere della Sera, i costi della TASI
per quanto riguarda la casa da 120 metri quadrati [di categoria catastale “civile”] a Torino e a Roma supererebbero comunque i 700 euro all’anno, cifra sfiorata da Milano e da Genova; per le abitazioni di minor valore [di categoria “economica”] la Capitale guida questa poco ambita graduatoria con 443 euro, seguita da Bologna con 386 euro, da Torino con 353 e da Milano con 344 euro.
La TASI è una delle tre parti in cui è divisa la cosiddetta IUC, l’Imposta Unica Comunale: le altre due sono la TARI (la tassa sui rifiuti) e l’eventuale IMU su immobili diversi dalla prima casa di proprietà. La pagherà anche chi abita in affitto, in una quota variabile fra il 10 e il 30 per cento dell’intera tassa (deciderà il Comune). Il governo in precedenza aveva deciso che la TASI avrebbe dovuto prevedere un’aliquota massima dello 2,5 per mille della base imponibile, salvo poi annunciare ieri un cambiamento con un una nota:
In materia di Tasi-Imu il governo ha deciso di presentare un emendamento al decreto Enti Locali così definito: ai Comuni sarà concessa per il 2014, esclusivamente allo scopo di deliberare a favore delle famiglie e dei ceti più deboli ulteriori detrazioni rispetto a quelle già previste dalla legge di stabilità, la possibilità di decidere un incremento delle aliquote al di sopra dei massimi attualmente consentiti.
Tale incremento, che non comporterà alcun aumento della pressione fiscale, sarà compreso tra lo 0,1 e lo 0,8 per mille complessivo e i Comuni saranno liberi di decidere come ripartirlo tra le diverse basi imponibili.
In pratica, il sindaco di ogni città potrà alzare fino al 3,3 per mille l’aliquota della TASI – ed eventualmente dell’IMU – e usare i soldi ricavati per fare detrazioni alle fasce più povere. Secondo il Corriere della Sera l’aumento delle aliquote riguarderà anche l’IMU, e «se i Comuni sfrutteranno appieno tutto il margine disponibile potranno recuperare oltre un miliardo di euro in più, da destinare alle detrazioni», oltre ai 500 milioni di euro già stanziati allo scopo nella legge di Stabilità.
Per esempio, suggerisce Mario Sensini sul Corriere della Sera, i comuni «potranno concedere detrazioni parametrate al numero dei figli a carico oppure al reddito dichiarato ai fini Irpef, o calcolato in base all’ISEE». Il problema è che l’IMU presentava alcune detrazioni fisse, come quella di 50 euro in meno per ogni figlio presente in famiglia (non presente nella TASI) e di 200 euro sulla prima casa: insomma, molto dipenderà dal tipo di detrazioni che studieranno i singoli comuni, motivo per cui al momento è molto difficile fare previsioni e confronti con il vecchio sistema.
Secondo Piero Fassino, sindaco di Torino e presidente dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), «la flessibilità sull’aliquota non risolve il problema del minor gettito sulla prima casa», che infatti per la precedente IMU era fissato al 4 per mille (e mancherebbero ai Comuni circa 1,5 miliardi in totale, rispetto allo scorso anno).
nella foto, il presidente del Consiglio Enrico Letta e il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni: ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)