La protesta dei migranti africani in Israele
Chiedono asilo politico e protestano contro una nuova legge che permette la detenzione di chi è irregolare fino a un anno, senza processo
Domenica 5 gennaio più di 30 mila persone, per la maggior parte migranti provenienti dall’Africa, hanno manifestato nella piazza centrale di Tel Aviv, in Israele, contro il rifiuto del governo di fornire loro lo status di rifugiati. Lo slogan principale dei manifestanti era: «Siamo tutti profughi. Sì alla libertà, no alla prigione». La protesta, secondo quanto confermato dalla polizia, è stata pacifica e non ci sono stati particolari disordini.
Le proteste sono iniziate dopo che il 10 dicembre il governo di Israele ha approvato una legge che autorizza la detenzione fino a un anno degli immigrati clandestini senza prima lo svolgimento di un processo. Dopo la decisione il 16 dicembre scorso si erano mobilitate circa 200 persone; il 28 dello stesso mese si era svolta una seconda manifestazione con diverse migliaia di partecipanti, ma quello di ieri è stato il più grande raduno di questo tipo che si sia mai svolto in Israele. I manifestanti, appoggiati da alcune organizzazioni locali di attivisti, hanno denunciato in particolare il rifiuto delle autorità israeliane di prendere in considerazione le loro richieste per ottenere lo status di rifugiati: «Siamo scappati da persecuzioni, dittature, guerre civili, genocidi. Il governo israeliano deve prendere in considerazione il nostro diritto di asilo e trattarci come esseri umani», ha spiegato uno di loro. I migranti, occupati soprattutto nel campo della ristorazione e del turismo, hanno anche indetto uno sciopero di tre giorni dai loro posti di lavoro.
Eli Yishai, l’ex ministro dell’Interno che nel 2012 fece deportare decine di migliaia di migranti clandestini, attuale deputato del partito ultraortodosso Shass, ha definito la nuova protesta come «antisionista» e i manifestanti come «infiltrati». Ha inoltre dichiarato che la manifestazione è stata un chiaro «allarme per agire contro i clandestini», che «lo Stato di Israele, le autorità giudiziarie e la polizia devono usare tutti i mezzi a loro disposizione per farli tornare nel loro paese» e che Tel Aviv era ormai diventata un «città africana». Gli immigrati presenti in Israele sono per lo più eritrei e sudanesi in cerca di asilo politico che è quasi sempre stato loro negato. Si rifiutano di tornare nel loro paese per paura della repressione, vivono nei quartieri più poveri nel sud di Tel Aviv e sono oggetto da tempo di attacchi xenofobi. Nel 2013 Israele ha completato la costruzione di un recinto elettrificato lungo il confine di 230 chilometri con l’Egitto, che ha ridotto quasi a zero il numero di immigrati provenienti da quel paese.