Che succede tra Siria e Iraq?
Un gruppo islamista vicino ad al Qaida sta combattendo a Falluja, in Iraq, e contemporaneamente si scontra con i ribelli siriani
Da tempo la situazione in Iraq si è complicata a causa delle divisioni tra sciiti e sunniti, le due principali fedi dell’Islam, delle attività di diversi gruppi vicini ad al Qaida e della situazione in Siria, paese a grande maggioranza sunnita al confine con l’Iraq: gruppi estremisti sunniti affiliati di al Qaida – tra cui lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) – hanno infatti iniziato a riorganizzarsi impegnandosi a lottare contemporaneamente contro regimi sciiti: in Iraq quello democraticamente eletto (il paese è a maggioranza sciita) del primo ministro al-Maliki, in Siria il regime del dittatore Bashar al-Assad (che insieme a gran parte dell’élite del paese è alawita, una setta vicina agli sciiti). I fronti di questa battaglia che supera i confini dei due paesi sono principalmente due: quello orientale costituito dalla regione irachena di Anbar e quello occidentale costituito dalle regioni nord occidentali siriane di Idlib e Aleppo.
L’ISIS è un movimento di estremisti sunniti, fondato in Iraq nel 2003 e che nel corso del tempo ha cambiato numerosi nomi e leader. Gli esperti lo considerano uno dei gruppi più forti in Iraq ma anche nel nord della Siria: l’ONG Syrian Human Rights Watch lo considera ad esempio il gruppo ribelle più forte in assoluto in tutto il nord della Siria. Secondo i critici, gli obbiettivi dell’ISIS sono la creazione di uno stato islamico in Siria e nella parte sunnita del nord dell’Iraq. Nelle città che controlla in Siria, l’ISIS ha imposto una strettissima osservanza della sharia, la legge islamica, e ha compiuto arresti ed esecuzioni, a volte contro altre milizie ribelli.
L’Iran e la caduta di Falluja
Giovedì 2 gennaio, i miliziani dell’ISIS erano riusciti ad occupare diverse aree delle città di Ramadi e Falluja, nella provincia di Anbar, in Iraq. Alcune stazioni di polizia erano state assaltate, mentre diverse strade erano state bloccate con posti di blocco. Venerdì, gli uomini dell’ISIS sono riusciti a conquistare il comando della polizia e il municipio, dove hanno issato la bandiera nera dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. Sabato 4 gennaio il governo dell’Iraq ha dichiarato di aver perso il controllo della città di Falluja e il capo della polizia della provincia di Anbar, dove si trova Falluja, ha annunciato che gli abitanti della città ora sono prigionieri dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS).
(Perché parliamo di sciiti e sunniti?)
Gli scontri che hanno portato alla caduta delle due città erano cominciati alla fine di dicembre, quando diversi gruppi sunniti avevano occupato strade e ponti a Ramadi, per protestare contro la marginalizzazione dei sunniti all’interno del governo sciita di Nuri al Maliki (lo scontro tra sunniti e sciiti è molto forte in Iraq, e finisce spesso in violenze). Il 28 dicembre Ahmed al-Awalanium, parlamentare sunnita e oppositore del governo, era stato arrestato: l’episodio è stata la ragione delle proteste, che a loro volta però si sono trasformate con il passare dei giorni. Mentre all’inizio lo scontro era tra gruppi locali sunniti e forze governative, giovedì c’è stata l’importante infiltrazione di gruppi vicini ad al Qaida, che hanno preso il controllo di alcune parti di Falluja e Ramadi. Il governo ha reagito bombardando Falluja e attaccando i quartieri occidentali nella giornata di sabato. Il segretario di Stato americano John Kerry ha dichiarato che gli Stati Uniti aiuteranno al governo iracheno, anche se ha assicurato che non intende inviare più truppe in Iraq.
La seconda rivoluzione siriana
Negli ultimi giorni, nel nord e nell’est della Siria il gruppo di ribelli dell’ISIS ha iniziato una “seconda guerra civile” contro le altre forze dell’opposizione al regime siriano. Circa 200 ribelli dell’ISIS sono stati arrestati e molti altri sono stati uccisi nella zona intorno ad Aleppo, dopo che l’Esercito Libero Siriano (FSA, una delle principali coalizioni di ribelli “laici”) ha dichiarato di voler cacciare gli “stranieri” dalla Siria (molti miliziani dell’ISIS, infatti, non sono di origine siriana).
Da mesi oramai i rapporti dell’ISIS con le altre forze ribelli sono molto tesi. Spesso gruppi più laici come il FSA hanno accusato l’ISIS di agire “per conto del regime”, aiutandolo nel dipingere tutti i gruppi ribelli come terroristi legati ad al Qaida e responsabili di crimini contro civili e di esecuzioni sommarie. Secondo diversi analisti, la tensione tra l’ISIS e gli altri ribelli ha raggiunto il culmine dopo che alcuni miliziani islamici hanno rapito ed ucciso Hussein al-Suleiman, un medico e capo della milizia Ahrar al-Sham, che opera nella zona di Aleppo. Dopo che le foto del corpo sono state mostrate su alcuni social network, diversi miliziani hanno cominciato ad attaccare gli uomini dell’ISIS.
L’ISIS ha dimostrato che le sue forze riescono a raggiungere anche aree lontane. Ad esempio, negli ultimi giorni ha rivendicato l’esplosione di un’autobomba in un quartiere della capitale Beirut avvenuta giovedì 2 gennaio controllato dagli Hezbollah, sciita: «Siamo riusciti a violare il sistema di sicurezza del partito di Satana ed è solo l’inizio di quello che intendiamo fare» c’è scritto nel loro comunicato. E questo conferma come gli attacchi a Hezbollah facciano parte della stessa campagna anti-sciita che ISIS porta avanti in Siria contro Assad e in Iraq contro Al-Maliki.