Il turbolento Capodanno della Turchia
Lo scontro tra Erdoğan e i giudici non è finito, anzi, e il governo continua a rimuovere funzionari, dipendenti e magistrati che considera collusi con il "complotto" ai suoi danni
La crisi politica che coinvolge la Turchia da quasi tre settimane – considerata la più grave degli ultimi dieci anni e della carriera politica del potente primo ministro conservatore Recep Tayyip Erdoğan – è entrata in una fase di stallo; una serie di sviluppi mostrano come le posizioni in campo si siano ulteriormente bloccate e radicalizzate, lasciando intendere che le cose si evolveranno ancora nei prossimi giorni. La crisi è stata provocata da un’inchiesta per corruzione e appalti che ha colpito un pezzo importante del partito di governo, avvicinandosi anche allo stesso Erdoğan, ha messo contro la politica e la magistratura e ha evidenziato una spaccatura senza precedenti nel partito di governo, l’AKP, e nei movimenti politici islamisti.
Il governo del primo ministro Erdoğan – che parla dal primo giorno di “complotto internazionale” contro la Turchia – continua ad accusare la magistratura di essere motivata politicamente e ispirata da Fethullah Gülen, un influente studioso turco residente negli Stati Uniti, fondatore di un movimento politico di ispirazione religiosa, di una corposa rete di scuole private e di alcuni giornali. Il ministro della Giustizia, Bekir Bozdağ, ha accusato la Corte Suprema di aver decretato arbitrariamente l’incostituzionalità di una norma per cui gli inquirenti avrebbero dovuto informare il governo dello sviluppo delle indagini, e ha detto che solo lui, in qualità di presidente della Corte, ha il diritto di diffondere comunicati e decisioni a nome dell’intero organismo. Lo stesso concetto era stato espresso lunedì da Erdoğan in termini altrettanto espliciti: il primo ministro ha detto che il governo ha fatto «un errore» rinunciando al suo potere di controllo del potere giudiziario. «Abbiamo tentato di praticare la democrazia ma nessuno dovrebbe poter agire incontrollato: in questo paese il primo ministro è sotto controllo, i ministri sono sotto controllo, i giudici non lo sono».
L’atteggiamento del governo conferma implicitamente la denuncia di Muammer Akkaş, procuratore capo dell’inchiesta in questione, che aveva detto di essere stato rimosso dal caso. Lo stesso Akkaş ha spiegato nuovamente che una “seconda ondata” di arresti è stata fermata, permettendo così ai sospettati di prendere contromisure, inquinare le prove o scappare. La prima fase dell’inchiesta aveva portato agli arresti dei figli di tre importanti ministri – la seconda, secondo voci riferite dai media ma non confermate, avrebbe potuto coinvolgere anche i figli di Erdoğan. Il governo accusa Akkaş di aver passato indebitamente alla stampa informazioni sull’inchiesta; Akkaş sostiene di aver dato pubblicamente soltanto le informazioni essenziali sullo stato delle indagini, data la loro importanza. Diversi altri giudici e magistrati hanno denunciato per diffamazione organi di stampa vicini al governo, che da giorni pubblicano articoli critici nei loro confronti e ricostruzioni che li accusano di aver deliberatamente passato alla stampa le informazioni che hanno più colpito l’opinione pubblica: fotografie di montagne di denaro contante accatastato sui letti dei ministri, la notizia dei soldi nascosti nelle scatole di scarpe a casa del capo di una grande banca controllata dallo Stato.
Intanto un altro parlamentare dell’AKP, il partito di Erdoğan, ha deciso di lasciare il partito: Hasan Hami Yıldırım è il quinto in pochi giorni, in una formazione politica precedentemente nota per essere particolarmente forte e compatta. Yıldırım ha criticato la rimozione del procuratore dal caso e le pressioni contro i magistrati. Prima di lui avevano lasciato il partito Ertuğrul Günay, Erdal Kalkan, Haluk Özdalga e İdris Naim Şahin, e anche nelle amministrazioni locali l’AKP sta perdendo dei pezzi.
La spaccatura nell’AKP è un pezzo di una spaccatura più grande nel campo dei movimenti politici di ispirazione islamica: e qui si arriva a Fethullah Gülen, che secondo Erdoğan è il principale ispiratore delle inchieste contro il governo. La stampa vicina all’AKP in questi giorni ha accusato Gülen e il suo movimento di voler fermare una riforma della scuola che abolisce alcune scuole private, di condizionare la magistratura e persino di essere complice o mandante dell’assassinio di tre donne curde lo scorso gennaio a Parigi. Il governo ha preso anche provvedimenti concreti, oltre alle accuse verbali: nelle ultime ore 10 dirigenti del ministero delle Finanze sono stati rimossi dai loro incarichi e assegnati ad altre funzioni, in precedenza lo stesso era successo a centinaia di funzionari di polizia e della pubblica amministrazione, tutti sospettati di essere vicini al movimento di Gülen.
I sindacati hanno criticato duramente queste decisioni e nei prossimi giorni questo potrebbe rafforzare ulteriormente le proteste di piazza, fin qui frequenti ma non particolarmente affollate.
foto: manifestanti a Istanbul il 29 dicembre. Sui cartelli c’è scritto “Ladri con le scatole, vergognatevi”. Il riferimento è al denaro contante conservato nelle scatole di scarpe a casa di alcune persone indagate. (OZAN KOSE/AFP/Getty Images)