In Sud Sudan si combatte ancora
I ribelli hanno riconquistato Bor e ora dicono di voler trattare col governo: dall'inizio degli scontri ci sono già un migliaio di morti
Il capo dei ribelli ed ex vicepresidente del Sud Sudan Riek Machar ha detto che i suoi sostenitori hanno ripreso il controllo della città di Bor, una piccola città 200 chilometri a nord della capitale Juba. La notizia però è stata smentita dall’esercito, e secondo il sindaco e alcune fonti governative della città i ribelli controllerebbero solo alcuni quartieri. Bor era già stata attaccata dai ribelli il 18 dicembre, per poi essere riconquistata pochi giorni dopo dall’esercito. Machar ha anche detto che aprirà delle trattative col governo e che per questo ha inviato una propria delegazione ad Addis Adeba, la capitale dell’Etiopia. Machar dal 2011 al luglio del 2013 è stato vicepresidente del paese, quando fu estromesso dal presidente Kiir per motivi poco chiari.
Il presidente del Sud Sudan Salva Kiir, nonostante un’apertura nei giorni scorsi, ancora ieri aveva negato la possibilità di condivedere parte del potere con Machar, rifiutandosi inoltre di rilasciare alcune persone vicine a lui accusate di aver tentato di rovesciare il governo con un colpo di stato circa due settimane fa. Il 25 dicembre l’ONU ha stabilito che i soldati delle forze internazionali di peacekeeping presenti sul territorio diventeranno oltre 12mila. Il portavoce del ministero degli Esteri sud sudanese Dina Mufti ha però confermato i contatti, spiegando che «sia il presidente Salva Kirr che Machar stanno arrivando ad Addis Adeba per parlarsi». Secondo alcune fonti contattate da BBC i negoziati inizieranno già oggi.
Gli scontri, iniziati nella capitale Juba ma poi estesi in varie zone del paese, sembrano essere nati per un litigio nell’ospedale militare tra un soldato di etnia Dinka, il gruppo etnico di Kiir e il più numeroso del paese, e un Neur, gruppo etnico a cui appartiene Machar. L’inimicizia non è nuova tra i due gruppi, ma la nomina di Kiir e di Machar nel 2011 sembrava essere una garanzia di unità per la stabilità del paese, anche perché il presidente era conosciuto per la sua personalità tranquilla e le sue iniziative a favore della riconciliazione con i capi ribelli più riottosi. Già dai primi giorni di scontri si è iniziato a parlare del pericolo di una nuova guerra civile: secondo BBC circa 1000 persone sono già morte e più di 120mila sono fuggite dalle proprie case.
foto: SAMIR BOL/AFP/Getty Images