La crisi politica in Turchia, dall’inizio
Perché il partito di Erdoğan è alle prese coi guai più gravi degli ultimi 10 anni, più delle proteste di giugno: c'entrano un'inchiesta per corruzione e un grosso scontro di potere
Da circa due settimane il governo della Turchia, guidato dal primo ministro conservatore Recep Tayyip Erdoğan, sta attraversando la crisi politica più grave degli ultimi dieci anni e si trova in difficoltà come probabilmente non era mai stato, nemmeno durante le grandi proteste popolari della scorsa estate a Istanbul e in altre grandi città. Il 25 dicembre si sono dimessi tre ministri, subito dopo Erdoğan ne ha sostituiti sette; intanto sono ricominciate le proteste di piazza e la cosa non sembra essere sul punto di rientrare. La lira turca sta andando molto male e anche la Borsa ha perso 11 punti percentuali negli ultimi giorni. Al centro di quello che succede c’è un’inchiesta per corruzione che coinvolge pezzi rilevanti del partito di governo e della classe imprenditoriale turca, ma secondo molti c’è in realtà qualcosa di più grave e profondo: uno scontro tra strutture dello Stato e tra due diversi movimenti politici di ispirazione islamica.
Cosa è successo
Sabato 21 dicembre 16 persone sono state arrestate in Turchia: tra queste c’era il figlio del ministro dell’Economia, quello del ministro dell’Interno e il direttore generale di Halkbank, una grande banca controllata dallo Stato. Pochi giorni prima altre 49 persone erano state fermate, anche loro accusate in quella che è stata definita “la più grande operazione contro la corruzione nella storia della Turchia”. Anche il figlio del ministro dell’Ambiente è stato arrestato e rilasciato dopo un breve interrogatorio. Molti degli arrestati sono direttamente o indirettamente legati all’AKP, il partito di governo guidato da Erdoğan.
Il governo ha risposto duramente – ma contro la polizia e gli inquirenti. Il primo ministro Erdoğan ha definito l’operazione un complotto per far cadere il governo e ha promesso di colpire coloro che stanno congiurando contro il governo. In pochi giorni, circa 30 ufficiali di polizia sono stati licenziati o rimossi dal loro incarico: tra questi c’è anche Huseyin Capkin, il capo della polizia di Istanbul, uno dei più importanti comandanti della polizia ad aver appoggiato e condotto le indagini. Tre dirigenti del partito AKP sono stati rinviati alla commissione disciplinare del partito e rischiano l’espulsione, per aver criticato Erdoğan e difeso l’indagine. Ertuğrul Günay, influente deputato dell’AKP, ha dato le dimissioni dicendo di non voler fare a meno della sua libertà.
Il centro dell’inchiesta e le “manovre di disturbo” contro le indagini
Secondo le notizie riprese dalla stampa turca, nei giorni scorsi la polizia ha trovato e sequestrato a casa del direttore di Halkbank circa 3,3 milioni di euro in contanti nascosti in una scatola di scarpe, mentre più di 730 mila euro erano stati trovati a casa di Baris Guler, il figlio del ministro degli Interni. Guler padre ha detto che i file delle intercettazioni utilizzati dalla polizia nell’inchiesta sarebbero stati manomessi, e che i soldi ritrovati dalla polizia a casa di suo figlio sarebbero il ricavo della vendita di una loro villa.
L’inchiesta gira intorno ad alcuni trasferimenti di denaro in Iran nell’ambito di una presunta corruzione relativa ad alcuni appalti, e alla presunta corruzione di alcuni funzionari pubblici allo scopo di approvare la costruzione di opere edilizie ignorando la destinazione ufficiale dei terreni. La stampa locale, citando voci e retroscena, fa capire che il lavoro di indagine è ancora in una fase iniziale e che – salvo gli effetti delle manovre di “disturbo” – il caso potrebbe allargarsi ulteriormente nei prossimi giorni. L’inciso è importante: il procuratore a capo dell’inchiesta ha detto di aver disposto una nuova serie di arresti il 25 dicembre, relativi a una grande seconda fase delle indagini, ma che la polizia di Istanbul ha deciso di non eseguirli (secondo alcune voci riprese dalla stampa, non confermate, tra gli arrestati ci sarebbe stato anche il figlio dello stesso Erdoğan). Il procuratore ha detto che l’inchiesta ormai «non è più nelle mie mani» e che, disobbedendo agli ordini, la polizia di Istanbul «ha commesso un reato e ha dato modo ai sospettati di prendere contromisure e inquinare le prove a loro carico». Sembra che i procuratori abbiano chiesto allora alla gendarmeria militare di effettuare i nuovi arresti, visto che la polizia non obbedisce.
Le dimissioni dei ministri
Il 25 dicembre i ministri dell’Economia, degli Interni e dell’Ambiente – i cui figli erano stati fermati o arrestati dalla polizia – si sono dimessi. Si sono detti tutti e tre innocenti ma il ministro dell’Ambiente, annunciando la sua decisione, ha invitato il primo ministro Erdoğan a dimettersi, accusandolo di essere politicamente corresponsabile delle decisioni al centro dell’indagine.
Le dimissioni dei tre ministri sono state piuttosto inaspettate; Erdoğan ha reagito anticipando un previsto rimpasto di governo e sostituendo altri sette ministri – i ministri del governo sono tutto 21 – dando qualche argomento a chi sostiene che al centro di quanto sta accadendo ci sia uno scontro di potere all’interno dei conservatori turchi. Erdoğan dal primo momento denuncia l’inchiesta come un tentativo di screditare il governo da parte di oppositori politici turchi e stranieri – ha parlato di una “banda criminale” e di un “complotto organizzato all’estero” – in vista delle prossime elezioni locali che si terranno a marzo. Durante un messaggio televisivo Erdoğan ha detto di non avere intenzione di dimettersi.
Un po’ di contesto: Erdoğan e l’AKP
L’AKP è stato fondato nel 2001 da diversi politici di ispirazione conservatrice, religiosa e nazionalista, tenuti insieme dal carisma di Erdoğan, il politico turco più popolare degli ultimi decenni. Erdoğan venne eletto per la prima volta nel 2002, grazie anche a una campagna basata su accuse di corruzione e cattiva gestione nei confronti del governo precedente. Negli anni successivi condusse una campagna per liberare il governo dalla tutela dei militari turchi, in gran parte laici, che già in passato avevano più volte interferito con la vita politica turca, rimuovendo governi di sinistra o di ispirazione religiosa.
Negli anni successivi la Turchia ha sperimentato una grandissima crescita economica che ha aumentato i consensi di Erdoğan. Il modello adottato dal governo ha unito liberalizzazioni e privatizzazioni con diversi tentativi di recuperare l’identità islamica in politica, ma sembra avere creato nell’ultimo decennio molti squilibri nella società turca: le differenze più importanti si sono create tra la popolazione che risiede nelle grandi città, che contrasta il conservatorismo islamico portato avanti dal governo, e la popolazione rurale, legata alle tradizioni religiose. Questo “conflitto” va avanti da almeno un decennio e soltanto con Erdoğan un partito turco è riuscito a contrapporsi al potere militare. Grazie alla grande crescita economica, l’AKP è riuscito a guadagnare un grande consenso nel paese – alle ultime elezioni ottenne il 50 per cento dei voti, e il risultato fu considerato allora persino deludente.
La tenuta del partito, però, era già stata messa alla prova quest’estate quando la polizia represse con grande violenza le manifestazioni nate in seguito alla decisione di demolire il parco Gezi, per far spazio a un progetto di sviluppo urbanistico. Secondo diversi commentatori, gli arresti di questi giorni saranno una prova ancora più dura da superare. Diversi leader di AKP hanno già preso le distanze da Erdoğan, un segnale che in questi giorni il partito è molto più diviso che in precedenza. La cosa di cui si discute di più però è la rivalità tra Erdoğan e Fethullah Gülen, un religioso musulmano che vive negli Stati Uniti. E qui veniamo al punto centrale di questa crisi, probabilmente.
Chi è Fethullah Gülen e cosa c’entra
Gülen ha 72 anni: negli anni ha creato una grande rete di scuole private in tutto il Medio Oriente, possiede giornali e altre imprese e ha fondato un movimento, Hizmet (“servizio”), di cui si dice facciano parte numerosi esponenti della magistratura, delle forze dell’ordine turche e persino diversi membri dell’AKP, il partito del primo ministro Erdoğan. Negli ultimi anni Hizmet si è schierato quasi sempre dalla parte del governo Erdoğan, specie nelle campagne politiche contro il predominio dell’esercito. In questi giorni però le cose sembrano essere cambiate, e infatti Gülen ha pubblicato sul suo sito Internet un video in cui critica duramente il governo per la rimozione degli ufficiali di polizia che hanno portato avanti le indagini di questi giorni. Gülen ha negato qualsiasi coinvolgimento diretto con le operazioni di polizia.
In questi giorni Erdoğan non ha mai nominato esplicitamente Gülen, ma ha dichiarato che gli arresti di questi giorni sono opera di una “banda criminale” e di un “complotto organizzato all’estero” che ha l’obiettivo di creare “uno stato nello stato”: tutte espressioni che, secondo i commentatori, stanno a indicare Gülen e il suo movimento Hizmet come responsabili delle inchieste e degli arresti di questa settimana. Secondo molti osservatori e analisti intervistati dal New York Times, il caso di questi giorni è di fatto uno scontro di potere tra settori dello Stato.
La maggior parte dei liberali e dei laici non sostiene l’AKP: Erdoğan e Gulen rappresentano due diverse tradizioni dell’islamismo turco e il fatto che siano ormai praticamente in guerra fa sì che l’AKP rischi di collassare. In senso più generale, lo scontro riguarda anche la praticabilità del cosiddetto “Islam politico” e arriva in un periodo in cui simili avvenimenti – movimenti islamisti che faticano a mantenere il potere politico – avvengono anche in contesti molto diversi, come la Tunisia e l’Egitto. La differenza è che in Tunisia e in Egitto lo scontro politico avviene tra islamisti e laici, mentre in Turchia avviene tra due movimenti islamisti.
Le proteste di piazza
Intanto le inchieste e gli arresti di questi giorni hanno ridato forza ai partiti di opposizione e ai contestatori del governo che già quest’estate avevano rumorosamente protestato contro il governo. Secondo molti la rinnovata vitalità dei movimenti di opposizione si deve anche ai molti dettagli dell’indagine arrivati sui giornali: fotografie di montagne di denaro contante accatastato sui letti dei ministri, la notizia dei soldi nascosti nelle scatole di scarpe. Ci sono state nuove proteste di piazza e scontri con la polizia, anche la scorsa notte, e quello che sta succedendo sembra lontano dalla fine.
foto: il presidente turco Abdullah Gul (al centro), il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan (a destra), il presidente del Parlamento turco Cemil Cicek (terzo a sinistra). (ADEM ALTAN/AFP/Getty Images)