L’ONU raddoppia le forze in Sud Sudan
I soldati delle forze internazionali di peacekeeping arriveranno a oltre dodicimila: intanto i morti per gli scontri sono migliaia, gli sfollati molti di più
Martedì 24 dicembre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato un piano per raddoppiare le forze internazionali di peacekeeping in Sud Sudan, con l’obiettivo di cercare di gestire le conseguenze della grave crisi che sta coinvolgendo il paese da circa una settimana. Il piano, che è stato proposto dal segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon, prevede che i militari con mandato internazionale passino da 7 mila a 12 mila e 500, e le forze di polizia da 900 a 1.323. La situazione in Sud Sudan, il paese più giovane del mondo, è degenerata rapidamente negli ultimi giorni, e gli scontri tra le fazioni legate alle due principali etnie del paese hanno già provocato migliaia di morti.
La crisi in Sud Sudan, ormai molto simile a una guerra civile, è iniziata il 16 dicembre scorso, quando il presidente sud sudanese Salva Kiir ha annunciato che il suo rivale politico ed ex vicepresidente del suo governo, Riek Machar, aveva tentato di compiere un colpo di stato. Secondo diversi osservatori internazionali la rivalità tra i due ha origini etniche: Kiir appartiene infatti all’etnia Dinka, la più numerosa del paese, mentre Machar all’etnia Neur. La tensione tra Kiir e Machar è cresciuta progressivamente a partire dallo scorso luglio, quando Kiir ha “licenziato” Machar dal ruolo di vicepresidente, insieme a tutto il suo governo, accentrando su di sé la maggior parte dei poteri.
Martedì le Nazioni Unite hanno stimato che gli scontri e le violenze che si sono diffuse nel paese dal giorno del tentato colpo di stato hanno provocato la morte di migliaia di persone, mentre è stata confermata l’esistenza di almeno tre fosse comuni (una a Bentiu e due nella capitale Juba). Circa 80 mila persone invece sono state obbligate a lasciare le proprie case e la maggior parte di loro si trova ora nelle basi dell’ONU sparse per il territorio del Sud Sudan, in condizioni piuttosto precarie. Hilde Johnson, capo della missione di peacekeeping dell’ONU in Sud Sudan, ha detto ad Al Jazeera che «terribili atrocità sono state compiute e i responsabili ne dovranno rispondere».
Negli ultimi giorni i combattimenti tra forze governative e ribelli fedeli a Machar si sono concentrati soprattutto in due zone del Sud Sudan: attorno alla città di Bor, nello stato di Jonglei, che dopo essere stata conquistata inizialmente dai ribelli sembra essere tornata sotto il controllo del governo; e nella città di Bentiu, capitale dello stato settentrionale dell’Unità, che si trova ancora in mano ai ribelli. Gli scontri e le violenze nel paese, specialmente quelli nella zona di Bentiu, stanno provocando anche dei seri problemi al settore della produzione di petrolio, uno dei più importanti dell’intera economia sud sudanese: secondo il ministro del Petrolio Stephen Dhieu Dau, la produzione di greggio è calata di 45 mila barili al giorno.
Kiir e Machar si sono detti disponibili a negoziare per trovare un accordo che metta fine alle violenze nel paese. La distanza tra i due rimane comunque ancora significativa: Machar ha detto che la precondizione per il dialogo è la liberazione dei suoi alleati politici attualmente detenuti dal governo di Kiir, mentre Kiir ha preteso che non ci sia alcuna precondizione.