Lobby e lobbisti
Il M5S dice che «a decidere in Parlamento sono i lobbisti»: ma cosa sono di preciso? Chi è un lobbista e chi no? Cosa dice la legge in Italia e in giro per il mondo?
Lo scorso 21 dicembre alla Camera i deputati del Movimento 5 Stelle hanno mostrato alcuni cartelli con scritto “Caro PD decido io” e la foto di Luigi Tivelli, ex funzionario della Camera, definito un «lobbista mandato per controllare l’azione del PD». Il parlamentare del M5S Giorgio Sorial, nella stessa occasione, ha detto che «a decidere in Parlamento sono i lobbisti»; Beppe Grillo sul suo blog ha scritto che il Partito Democratico è «schiavo delle lobby d’oro».
La protesta dei deputati del Movimento 5 Stelle sembra essere abbastanza chiara ma non è altrettanto chiaro se la parola “lobby” e “lobbista” (o “lobbysta”) sia da loro utilizzata in modo corretto o improprio. “Lobbista” non è infatti né una parolaccia né un’offesa, ma è piuttosto una professione che in alcuni stati – e anche nelle istituzioni comunitarie europee – è prevista e regolamentata, e in generale non implica nulla di particolarmente insano in una democrazia.
“Lobby” è un termine inglese che deriva a sua volta dalla parola latina che significa “loggia”, “tribuna”: in origine è stato utilizzato nel Diciannovesimo secolo per indicare nella Camera dei Comuni, una delle due assemblee che costituiscono il Parlamento britannico, il luogo dove i deputati incontravano il pubblico e, in particolare, i rappresentanti dei vari gruppi di interesse. Le persone che aspettavano i parlamentari nella lobby per parlare con loro furono quindi col tempo chiamati “lobbyists”. Oggi la parola “lobby” significa “gruppo di pressione”: indica genericamente un gruppo di persone che cerca di esercitare la propria influenza sul potere politico e amministrativo per difendere un interesse. Anche un sindacato, un’associazione studentesca, un’associazione di commercianti o di imprenditori, un’organizzazione per i diritti umani, in questo senso, svolgono attività di lobbying: cercano di fare pressioni sui politici perché tengano conto dei loro interessi – e di quelli delle persone che rappresentano – nel fare le leggi.
Nello specifico, però, ci sono società e figure professionali che si occupano direttamente e specificamente dell’attività di lobbying, “su commissione”: un’azienda interessata all’approvazione di una determinata legge, insomma, può stipulare un contratto con una società o una persona specializzata in lobbying perché queste facciano pressione sui politici per una determinata questione. Le modalità di azione di queste pressioni possono essere più o meno lecite: questo dipende in gran parte dal fatto che le attività di lobbying siano regolamentate a livello istituzionale o si svolgano invece senza alcun controllo normativo.
Le azioni delle lobby possono limitarsi a una serie di comunicazioni e contatti con i rappresentanti della politica – presentare dati e rapporti a sostegno della loro posizione – o organizzarsi in vere e proprie campagne per influenzare l’opinione pubblica, per finanziare le campagne elettorali, per promuovere scioperi o proteste organizzate e tradursi, dunque, in domanda politica. La forza delle lobby dipende prevalentemente dalla loro disponibilità di risorse economiche, numeriche, e dal livello di influenza che le lobby stesse sono in grado di esercitare: conoscenze personali, accesso ai luoghi in vengono prese le decisioni e ai canali di pressione più importanti (come per esempio i media).
La definizione di “lobby” del dizionario di economia e finanza dell’Enciclopedia Treccani fornisce un quadro piuttosto completo delle opportunità e dei rischi di queste attività.
I gruppi di pressione possono concorrere al bene della democrazia nella misura in cui – agendo dall’interno delle istituzioni e non dal loro esterno, in quanto riconosciuti e regolamentati – la loro molteplicità e interazione diano luogo a una ‘competizione’ che realizzi un equilibrio tra spinte e pressioni contrastanti, volto al conseguimento dell’interesse generale (visione pluralista). Possono, al contrario, rappresentare un ostacolo o un pericolo per l’interesse generale, quando il processo democratico sia dominato da un numero esiguo di gruppi di pressione ‘speciali’ – ossia raramente regolamentati e articolati – che difendono interessi parziali, o quando, più in generale, lo Stato si ponga come unico detentore dell’interesse comune, che difende contro interessi particolari giudicati perturbatori, anche se tollerati (visione democratica classica).
La prima visione coincide con il modello anglosassone e statunitense di lobbying, in cui si accorda legittimità alle attività dei gruppi di pressione; la seconda con il modello latino-francese, in cui tali gruppi difficilmente sono riconosciuti come elementi costitutivi della democrazia.
L’attività di lobbying è regolamentata in Australia, Canada, Germania, Polonia, Stati Uniti, Ungheria, Taiwan e anche nella Commissione e nel Parlamento europeo. Il Libro Bianco della Commissione UE del 2001, il Libro Verde del 2006 e il Registro europeo dei rappresentanti di interessi del 2007 hanno stabilito una regolamentazione dell’attività delle lobby all’interno delle istituzioni europee: un sistema di registrazione su base volontaria, un codice di condotta comune e un sistema di controllo e di sanzioni da applicare in caso di violazione del codice. Sono iscritti al registro circa 5.400 gruppi di pressione che appartengono al mondo economico o alla cosiddetta società civile organizzata, diverse ONG e alcuni sindacati. Qualche esempio di lobby presente nel registro dell’UE e con sede in Italia: Altroconsumo, Legambiente ONLUS, Slow Food.
In Italia, invece, il lobbismo non è regolamentato dal punto di vista normativo: nel corso degli anni sono stati presentati diversi disegni di legge per rendere più trasparente l’attività dei vari gruppi, ma nessuno è mai stato approvato.Tra questi il cosiddetto “ddl Santagata”, presentato durante il secondo governo Prodi nel novembre del 2007 dal ministro per l’Attuazione del programma di governo Giulio Santagata. Anche l’attuale governo Letta si sta occupando della regolamentazione delle lobby e ha creato un gruppo di lavoro incaricato di redigere un nuovo disegno di legge. Il gruppo, coordinato dal segretario generale di Palazzo Chigi Roberto Garofoli e da Pier Luigi Petrillo, professore di Teoria e tecniche del lobbying alla LUISS, ha presentato il testo durante il Consiglio dei ministri del 5 luglio 2013 che ha però rinviato l’approvazione per ulteriori approfondimenti. Il testo prevedeva l’istituzione di un albo dei lobbisti, affidava il loro controllo all’Antitrust, chiedeva regole e limiti all’attività di pressione. E, soprattutto, prevedeva l’obbligo dei ministri di redigere una relazione che desse conto dei loro rapporti con queste persone e le società che essi rappresentavano.
In assenza di una normativa a livello nazionale, alcune regioni hanno approvato delle leggi per regolamentare l’attività delle lobby: il Molise e anche la Toscana, con lo scopo di favorire la presenza di soggetti rappresentativi di interessi nell’attività politica e amministrativa della Regione e migliorare la trasparenza della politica.