Tre risposte sull’abolizione delle province
Per capirci qualcosa, dopo che ieri la Camera ha approvato il disegno di legge Delrio e si è tornati a parlarne
Domenica 22 dicembre sulle prime pagine di diversi giornali si torna a parlare di una questione che sembra non finire mai: l’abolizione delle province. Sabato 21 dicembre, infatti, alla Camera è stata approvata l’ennesima legge sull’abolizione. Ecco una breve guida per capire a che punto siamo arrivati.
Che cosa è stato approvato ieri?
Sabato 21 dicembre la Camera ha approvato il cosiddetto “DDL Delrio” – dal nome del ministro per gli Affari regionali, le Autonomie e lo Sport Graziano Delrio – o più precisamente il DDL 1542. Si tratta di un disegno di legge presentato dal governo alle Camere il 20 agosto 2013. Dopo diversi mesi di discussione in commissione, il DDL è stato approvato con i voti del PD, Scelta Civica e del NCD. SEL ha votato contro, mentre Lega Nord, M5S e Forza Italia hanno abbandonato l’aula, in un tentativo di far mancare il numero legale sul provvedimento.
Il DDL, in sostanza, regola tre aspetti pratici dell’abolizione delle province. Il primo: stabilisce che i consigli e le giunte provinciali saranno abolite e sostituite da assemblee di sindaci del territorio della vecchia provincia. In altre parole non ci saranno più elezioni, presidenti di provincia, giunte e assemblee provinciali: l’assemblea dei sindaci sarà costituita da tutti i sindaci dei comuni con più di 15 mila abitanti e dai presidenti delle unioni di comuni con più di 10 mila abitanti.
L’assemblea eleggerà un presidente con un sistema di voto ponderato (ogni sindaco conterà in proporzione al numero di abitanti del suo comune). Le funzioni di questa nuova assemblea saranno essenzialmente di pianificazione in aree per cui in precedenza erano competenti le province, come l’edilizia scolastica e le strade. Gli incarichi nell’assemblea provinciale non saranno remunerati.
Gli altri due aspetti regolati dalla legge sono l’istituzione delle città metropolitane e nuove regole per la fusione dei comuni. Quest’ultimo punto serve in sostanza a rendere più facile per i comuni riunirsi e quindi partecipare all’assemblea provinciale. Il primo punto invece è più importante. Le città metropolitane si sostituiranno alle province dal primo gennaio 2014 a Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria (Roma capitale, invece, avrà uno status ancora più particolare).
In queste città, in altre parole, non ci sarà un’assemblea provinciale formata dai sindaci e nemmeno la vecchia provincia. Il sindaco della città metropolitana sarà automaticamente il sindaco della vecchia città capoluogo di provincia. Il sindaco metropolitano sarà affiancato da un consiglio metropolitano – formato da sindaci del territorio eletti dagli altri sindaci – e da una conferenza metropolitana – formata nello stesso modo dell’assemblea provinciale.
In alternativa, ma il punto non è ancora chiaro, il sindaco metropolitano potrebbe essere eletto dai cittadini della ex provincia, diventando in questo modo simile a un presidente di provincia, ma senza un’assemblea di consiglieri eletti (e pagati) dai cittadini. Queste modifiche dovrebbero entrare in vigore dal primo luglio 2014.
Quindi non ci sono più le province?
No, ci sono ancora quasi tutte (poi vedremo perché quasi). Come abbiamo scritto sopra, il DDL Delrio deve essere approvato anche dal Senato. Non solo: il DDL non basta ad abolire le province, bisogna anche modificare la Costituzione. Per questo motivo il governo, il 20 agosto (lo stesso giorno in cui venne presentato il DDL Delrio), ha presentato anche un DDL costituzionale, il 1543, con il quale viene modificata la Costituzione per eliminare tutti i riferimenti alle province.
Le leggi che modificano la Costituzione devono essere approvate per due volte da ciascuna Camera e se nella seconda lettura non ricevono almeno due terzi dei voti devono essere sottoposte a un referendum prima di entrare in vigore (un referendum senza quorum). Si tratta, come è chiaro, di un processo piuttosto lungo e complicato, ma necessario. Senza una riforma costituzionale che elimini le province, la Corte Costituzionale boccerà qualsiasi tentativo di cancellazione, come è successo pochi mesi fa.
Ma le province non le avevano già abolite?
No, ma ci hanno già provato. Il governo Monti adottò diversi provvedimenti per tentare l’abolizione delle province (alcune erano contenuti nel famoso decreto “Salva-Italia”, altri nel decreto sulla cosiddetta spending review). Pochi mesi fa si è già parlato della famosa “riduzione delle province”, delle norme sulle città metropolitane – abbastanza simili a quelle del DDL Delrio – e di altre misure. Il 31 ottobre 2012 due allora ministri del governo Monti, Cancellieri e Patroni Griffi, presentarono persino una mappa che mostrava le “nuove” province, che sarebbero dovute nascere di lì a pochi mesi.
Quella riforma complessiva venne bloccata principalmente perché alcuni dei decreti chiave non vennero riconfermati dal parlamento a causa della caduta del governo Monti nel dicembre 2012. Nel luglio 2013, inoltre, la Corte Costituzionale ha bocciato più o meno tutto quello che era rimasto, sostenendo che non si possono fare riforme importanti utilizzando lo strumento dei decreti legge.
Di fatto, quindi, dopo Monti siamo tornati punto e a capo? Non proprio. Alcuni elementi della riforma Monti sono rimasti in piedi. Forse non lo avete notato, ma è dal novembre del 2012 che in Italia non si vota più alle elezioni provinciali. Nell’ultima legge di stabilità del governo Monti – ma impugnata davanti alla Corte Costituzionale – era scritto che:
Nei casi in cui in una data compresa tra il 5 novembre 2012 e il 31 dicembre 2013 si verifichino la scadenza naturale degli organi delle Province oppure la scadenza dell’incarico di Commissario straordinario delle Province, nominato ai sensi delle vigenti disposizioni di cui al TUEL, o in altri casi di cessazione anticipata del mandato degli organi provinciali, è nominato un commissario straordinario per la provvisoria gestione dell’Ente fino al 31 dicembre 2013.
Attualmente ci sono 20 province italiane commissariate, di solito perché gli organi elettivi sono arrivati a scadenza e la legge ha bloccato l’indizione di nuove elezioni: Ancona, Asti, Belluno, Biella, Brindisi, Como, Genova, La Spezia, Roma, Vibo Valentia, Vicenza, Avellino, Benevento, Catanzaro, Foggia, Frosinone, Massa-Carrara, Rieti, Taranto e Varese (alcune di queste, in realtà, sono state commissariate in seguito alla “fuga dei presidenti di provincia” dell’ottobre 2012). Con il famoso decreto legge sul femminicidio dell’agosto 2013, il governo Letta ha anche prolungato fino al giugno del 2014 la data entro cui scatta il commissariamento, che altrimenti sarebbe scaduto il 31 dicembre, prima che il governo riuscisse a completare tutti i passaggi della sua riforma.