Le proteste originali di Danilo Dolci
Tipo lo "sciopero a rovescio", in Sicilia negli anni Cinquanta: le raccontò un libro ripubblicato in questi giorni da Sellerio, dopo cinquant'anni, con introduzione di Aldous Huxley
Lunedì 16 dicembre Repubblica ha pubblicato parte dell’introduzione di Aldous Huxley, scrittore britannico conosciuto soprattutto per i suoi romanzi di fantascienza, al libro del sociologo italiano Danilo Dolci intitolato Inchiesta a Palermo, ripubblicato a distanza di più di 50 anni da Sellerio. Inchiesta a Palermo racconta gli «industriali», cioè coloro che «s’industriano» e si arrangiano: i disoccupati, i cosiddetti «spicciafaccende», i robivecchi, insomma tutte quelle persone che nella Palermo degli anni Cinquanta vivevano ai margini della società e in condizioni molto critiche.
Danilo Dolci è stato un sociologo, educatore, scrittore e attivista della non-violenza italiano. Nacque il 28 giugno del 1924 a Sesana, a quel tempo in provincia di Trieste, e negli anni Cinquanta si trasferì in Sicilia dove iniziò ad organizzare una lotta non violenta contro la mafia e per i diritti dei lavoratori, attraverso il digiuno e l’invenzione di pratiche di protesta molto originali. Un episodio celebre avvenne nel febbraio 1956 a Partinico, quando Dolci attuò lo sciopero alla rovescia: se i lavoratori per protestare smettevano di lavorare, i disoccupati avrebbero dovuto iniziare a lavorare. Così centinaia di disoccupati si organizzarono con lui per sistemare una strada comunale abbandonata: intervenne la polizia e Dolci venne arrestato. Il processo ebbe grande risalto sulla stampa nazionale: Dolci venne difeso da Piero Calamandrei e, infine, assolto.
Senza carità, la conoscenza tende a mancare di umanità; senza conoscenza, la carità è destinata sin troppo spesso all’impotenza. In una società come la nostra — i cui enormi numeri sono subordinati a una tecnologia in continua espansione e pressoché onnipresente — a un nuovo Gandhi o a un moderno San Francesco non basta esser provvisto di compassione e serafica benevolenza. Gli occorrono una laurea in una delle discipline scientifiche e la conoscenza di una dozzina di studiosi di materie lontane dal proprio campo di specializzazione. È soltanto frequentando il mondo del cervello non meno del mondo del cuore che il santo del Ventesimo secolo può sperare in una qualche efficacia. Danilo Dolci è uno di questi moderni francescani con tanto di laurea. Nel suo caso la laurea è in architettura e ingegneria; ma questo nucleo centrale specialistico è immerso in un’atmosfera di cultura scientifica generale. Dolci sa di cosa parlano gli specialisti di altri campi, rispetta i loro metodi ed è desideroso, bramoso addirittura, di giovarsi dei loro consigli. Ma ciò che sa e ciò che può apprendere dagli altri è sempre per lui strumento di carità: in un quadro di riferimento le cui coordinate sono un incrollabile amore del prossimo e una fiducia e un rispetto non meno incrollabili nei confronti dell’oggetto di questo amore. L’amore lo stimola ad adoperare le proprie conoscenze a beneficio dei deboli e degli sfortunati; la fiducia e il rispetto lo portano a incoraggiare costantemente deboli e sfortunati ad aver fiducia in se stessi, lo spingono ad aiutarli ad aiutarsi da sé.
Quando Danilo Dolci giunse in Sicilia proveniente dal Nord Italia, il suo era un pellegrinaggio di carattere estetico e scientifico. S’interessava dell’architettura dell’antica Grecia e aveva deciso di trascorrere un paio di settimane a Segesta, per studiarne le rovine. Ma lo studioso dei templi dorici era anche (e soprattutto) uomo di coscienza e di amorevole bontà. Venuto in Sicilia attratto dalla passata bellezza di questa terra, rimase in Sicilia a motivo del suo presente degrado. Quella che Keats chiamò «l’enorme infelicità del mondo», in Sicilia è più gigantesca della media: in particolar modo nella parte occidentale dell’isola. Per Dolci il primo sguardo sulla gigantesca infelicità della Sicilia occidentale agì da imperativo categorico. Bisognava fare qualcosa, punto e basta. Si stabilì pertanto a circa venti miglia da Palermo, in uno slum rurale chiamato Trappeto; sposò una sua vicina di casa, vedova con cinque figli piccoli; si trasferì in una casetta priva di ogni comfort e da questa base lanciò la propria campagna contro l’infelicità che lo circondava. […]
Nella vicina Partinico e nelle campagne circostanti i problemi che si pongono all’uomo di scienza e di buona volontà sono tanti, tutti difficili da risolvere. C’è, innanzitutto, il problema della disoccupazione cronica. Per una consistente minoranza di uomini validi non c’è, molto semplicemente, proprio nulla da fare. Ma il lavoro, sostiene Dolci, non è soltanto un diritto dell’uomo: è anche un suo dovere. Per il proprio bene e per il bene degli altri, l’uomo deve lavorare. In base a questo principio, Dolci organizzò uno «sciopero a rovescio», in cui i disoccupati protestavano contro la propria condizione mettendosi al lavoro. Un bel mattino, ecco che Dolci e un gruppo di senza lavoro di Partinico si dedicano alla riparazione — di propria iniziativa e del tutto gratis — di una strada del luogo. Puntualmente ecco piombare su questi eterodossi benefattori la polizia, che effettua una serie di arresti. Non si verificarono scontri, dacché per Dolci la non violenza è tanto un principio che una linea politica ben precisa. Dolci fu processato e condannato a due mesi di prigione per occupazione di suolo pubblico.
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Foto: la Marcia della protesta e della pace organizzata da Danilo Dolci (a sinistra) e Peppino Impastato (a destra) nel marzo del 1967