Dove va l’Irlanda?
Intanto è uscita dal programma di aiuti europei, mentre si discute se la sua storia sia la dimostrazione che rigore e riforme funzionano
Domenica 15 dicembre l’Irlanda è uscita dal programma di aiuti europei (il cosiddetto “bailout”) cominciato tre anni fa in seguito allo scoppio della crisi finanziaria. Da allora, l’Irlanda aveva ricevuto una serie di prestiti pari in tutto a 85 miliardi di euro. Questi prestiti sono stati concessi in cambio di alcune misure fiscali, un esempio della cosiddetta “austerity” che ha riguardato diversi altri paesi europei.
Da adesso, l’Irlanda tornerà a fare affidamento sul mercato per finanziare la propria spesa pubblica. Il paese sta attraversando un momento di ripresa economica, ma, come fanno notare quasi tutti gli osservatori, si tratta di una ripresa ancora fragile. Nonostante questo, il governo ha già promesso che dall’anno prossimo le tasse, alzate fino a raggiungere il record storico durante la crisi, saranno abbassate.
L’uscita dal programma di aiuti ha fatto tornare attuale una discussione che divide da molto tempo gli economisti, i commentatori e la stessa Commissione europea: l’Irlanda è davvero la dimostrazione che austerity più riforme incisive possono salvare un paese dalla crisi e riportare la crescita economica?
La crisi dell’Irlanda
Il Financial Times ha scritto che l’uscita dell’Irlanda dal programma di aiuti è un segno dell’importanza di rimuovere i legami tra lo stato e le banche. Nel 2010, infatti, il bilancio dell’Irlanda era in una situazione ancora gestibile, ma le sue banche si trovavano in una profonda crisi. Il governo intervenne per aiutarle in una maniera che si rivelò poi disastrosa.
La soluzione scelta per salvare il sistema finanziario dal governo dell’epoca – legato ai dirigenti e ai proprietari di diversi istituti bancari – fu di garantire completamente i debiti di sei banche. Questa garanzia si rivelò immensamente più costosa di quanto il governo aveva immaginato. In sostanza, il debito delle banche divenne debito dello stato, che passò in pochi anni dal 25 per cento del PIL all’attuale 124 per cento. A causa di questa situazione, alla fine del 2010 l’Irlanda chiese l’aiuto dell’Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale e cominciò ad adottare una lunga serie di misure di austerità.
La tigre celtica
In precedenza, le cose erano andate molto bene per l’Irlanda. Quelli fino al 2007 erano chiamati gli anni della “tigre celtica”: l’Irlanda ebbe una rapidissima crescita economica, dovuta principalmente alle bassissime imposte per le imprese e ai bassi tassi d’interesse praticati dalla Banca Centrale Europea. Grazie a queste misure l’Irlanda attirò numerosi investimenti diretti da alcune delle più grande multinazionali del mondo, soprattutto in campo farmaceutico e informatico. In molti, durante quegli anni, indicarono l’Irlanda e la sua ricetta di bassissime tasse come il modello da seguire per le economie fino ad allora più deboli d’Europa.
Negli ultimi giorni, il governo irlandese ha ripetuto più volte di voler abbassare le tasse già a partire dal prossimo anno. L’Irlanda ha fatto grandissimi sacrifici per mantenere basse le imposte sulle imprese, ed in gran parte ci è riuscita, ma altre imposte sono cresciute molto (come quella sul reddito, che attualmente è una delle più alte tra tutti i paesi OCSE). Gli annunci di questi giorni sembrano dimostrare che il governo vuole tornare a cavalcare la ricetta della “tigre celtica”. Una cosa che però non tutti gli analisti ritengono raccomandabile, almeno nel breve periodo.
Il futuro
Non solo l’Irlanda è ritornata a finanziarsi sul mercato dei titoli di stato, ma attualmente vende il suo debito pubblico con un rendimento del 3,5 per cento: inferiore sia a quello italiano che a quello spagnolo. Per il 2014 le stime prevedono una crescita al 2 per cento, anche questa superiore sia a quella italiana che a quella spagnola.
Qui però cominciano le cattive notizie. La disoccupazione è ancora al 13 per cento, anche se si è ridotta dal picco del 15 per cento raggiunto nel 2012. Il debito pubblico ha raggiunto il 124 per cento del PIL e crescerà anche nel 2014, se il governo non compirà interventi straordinari (interventi che il governo ha annunciato, in ogni caso: secondo il ministro dell’Economia l’anno prossimo 22 miliardi di euro saranno utilizzati per ridurre il debito al 116 per cento del PIL).
Quello che preoccupa di più gli analisti però è l’insieme delle promesse di abbassare le tasse già l’anno prossimo con l’attuale deficit del bilancio pubblico. Il governo irlandese spende ancora più di quanto guadagna, cioè ha un deficit di bilancio, attualmente pari al 7,5 per cento del PIL (l’Italia solo il 3 per cento). Secondo le stime, l’anno prossimo questo deficit scenderà al 4,8 per cento. Il timore è che gli investitori perdano rapidamente la fiducia che hanno riacquistato nell’Irlanda a fronte di politiche di bilancio troppo poco rigorose. Se gli interessi sul debito dovessero tornare a salire, è facile immaginare che il bilancio pubblico ritorni in crisi causando un blocco della ripresa economica e, nello scenario peggiore, la necessità di una nuova richiesta di aiuti europei.
Un successo del rigore?
Diversi membri della Commissione europea, e lo stesso presidente Barroso, hanno definito più volte l’Irlanda nelle ultime settimane un caso di successo esemplare, dove rigore fiscale e riforme energiche hanno salvato un paese dalla crisi economica rimettendolo sulla carreggiata della crescita economica. L’Irlanda non si è sempre adeguata a tutti gli obblighi imposti dall’austerity e il suo deficit, come abbiamo visto, è rimasto alto (a questo proposito alcuni hanno ricordato l’episodio in cui il governo irlandese rifiutò di tagliare il 2 per cento del welfare come consigliato dall’Europa).
È vero che l’Irlanda non si è avvitata in una spirale recessiva come Grecia e Portogallo, ma restano comunque molti dubbi sull’interpretazione da dare alla sua storia di questi ultimi anni. Ad esempio: l’Irlanda è tornata a crescere grazie all’austerity o nonostante l’austerity? Se anche il merito della ripresa fosse da attribuire al rigore di bilancio, rimane da capire se questo successo sia davvero un modello per altri paesi e non piuttosto un prodotto della sua situazione specifica.
L’Irlanda, infatti, già prima della crisi, aveva un’economia estremamente particolare e, come abbiamo visto, ha incontrato i suoi primi problemi di bilancio a causa di scelte sbagliate del suo governo. L’efficacia dei programmi di bailout e di austerità richieste dall’Europa deve ancora essere dimostrata in altri paesi. Tra l’altro, un test avverrà proprio nei prossimi mesi: Grecia e Portogallo sono in attesa di nuovi aiuti economici (gli ultimi, almeno in teoria), mentre la Slovenia rischia di finire molto presto nella lista dei paesi che hanno bisogno di essere salvati.