Perché non cambia la legge elettorale
Andrea Sarubbi spiega che il Porcellum in fondo va bene a tutti, e che prima bisognerebbe cambiare il Senato
Il giornalista ed ex deputato del PD Andrea Sarubbi spiega sul suo blog perché la riforma del “Porcellum” – l’attuale legge elettorale, giudicata incostituzionale dalla Corte Costituzionale pochi giorni fa – fatica da tempo a trovare spazio nel dibattito parlamentare, e perché si è arrivati a questo punto senza che i partiti si adoperassero per un cambiamento della legge in tempi rapidi. E aggiunge che è uno degli esempi in cui, per venirne a capo, bisogna ridiscutere l’idea stessa di bicameralismo.
Dicono che la regola sul retropassaggio al portiere, quella che gli vieta di prendere la palla con le mani quando un suo difensore gliela allunga di piede, sia stata introdotta dalla Fifa dopo aver visto all’opera l’Egitto durante i mondiali di Italia ’90: tutte quelle perdite di tempo ammazzavano le partite e costituivano un danno per il calcio. Oggi alcune opzioni sono rimaste, tipo la palla in tribuna e la morte apparente quando si subisce un fallo, ma innanzitutto è aumentato il recupero, e comunque ci vuole un po’ di discrezione: se l’arbitro capisce che lo fai apposta, ti becchi un cartellino giallo. Quella discrezione che il Senato non ha avuto in questo ultimo anno, bloccando il possibile e l’impossibile.
La storia della riforma elettorale comincia nella scorsa legislatura, così come lo sciopero della fame del deputato Roberto Giachetti appena si accorge che nella Commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama si va avanti con meline e retropassaggi, palle in tribuna e rotolamenti per terra: il tempo scorre senza un tiro in porta, forse perché proprio lo scorrere del tempo è il vero obiettivo. Il Porcellum sta bene al Pd perché vuole il premio di maggioranza, sta bene al Pdl perché spera nei numeri del Senato, non dispiace a nessuno perché comunque le liste bloccate rafforzano i leader che le devono riempire di nomi e danno speranza ai parlamentari che contano di finirci dentro.
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Foto: l’aula del Senato, il 27 novembre 2013 (AP Photo/Gregorio Borgia)