Buffon e il mito di Buffon
Da dove viene uno dei portieri più forti di sempre e come si è costruito il personaggio (o il luogo comune) dell'"uomo vero"
Davide Coppo, sulla rivista online Ultimo Uomo, ha scritto un ritratto di Gianluigi Buffon: che è assieme uno dei portieri più forti al mondo, il capitano della Nazionale e della squadra che ha vinto gli ultimi due scudetti. Da anni viene descritto come “un uomo vero” – una cosa a metà tra un luogo comune e un cliché maschilista, ma con delle spiegazioni – e al contempo un simbolo di onestà sportiva. Il tutto senza che si vada più a fondo e che si tenti di capire come ha fatto a diventarlo, il “personaggio Gianluigi Buffon”.
Non è facile scrivere qualcosa su Gianluigi Buffon. Perché, innanzitutto, il giudizio collettivo è già stato dato, ed è lo stesso (ma al contrario) giudizio collettivo che si dà a un boia o a un tiranno decaduto, cioè è positivo ad ogni costo, sempre inappellabile, scolpito nel marmo della memoria e dell’orgoglio nazionale. Buffon, per gli italiani, è il portiere più forte del mondo, probabilmente di sempre. È il coraggioso, lo sprezzante e l’indomito. È anche stato raccontato, in maniera più o meno intima, centinaia di volte: le scommesse, la depressione, il matrimonio, i figli, gli scudetti. Lui, è ovvio, si rialza sempre. Di Buffon rimane una maschera, ed è una maschera che è impossibile da togliere, è la maschera del personaggio coraggioso, dello sprezzante e dell’indomito. Buffon non sbaglia mai, e non è mai insicuro. Buffon non le manda a dire a nessuno. Buffon è sempre a testa alta. Buffon è un “uomo vero”. E via dicendo.
Per questo è difficile scrivere di Buffon. Perché ha recitato così bene la parte dell’eroe, o di quel particolare tipo di eroe. Jorge Luis Borges, ne L’Aleph, scrive un racconto intitolato “L’altra morte”, in cui si legge: «Un uomo tormentato dal ricordo d’un atto di codardia è più complesso e più interessante di un uomo semplicemente coraggioso. Il gaucho Martín Fierro, pensai, è meno memorabile di Lord Jim o di Razumov». Lord Jim è il protagonista dell’omonimo romanzo di Conrad, giovane marinaio inglese che abbandona la sua nave durante una tempesta, macchiandosi di paura e di vergogna; Razumov è il protagonista di Con gli occhi dell’occidente, ancora di Conrad, studente russo che tradisce un amico anarchico che a lui si era affidato, e deve affrontare l’ombra della colpa. Martín Fierro è invece l’eroe letterario nazionale argentino, protagonista dell’omonimo poema epico, gaucho fiero e senza paura. “Uomo vero”, come direbbero alcuni. Buffon è semplicemente coraggioso, come dice Borges di Martín Fierro. E allora l’unica cosa che mi rimane da fare è il racconto di Buffon il portiere, senza concedere nulla alla vita fuori dal campo, a un’empatia che non può esistere in un uomo che ha deciso da subito di essere eroe ed è già ora un monumento (inattaccabile) a se stesso.
Gianluigi Buffon, forse il portiere più forte del mondo, nasce da un classico caso di sliding doors, come è capitato a moltissimi altri portieri. Ad esempio a Giuseppe Moro, grande (e folle) numero 1 del dopoguerra italiano, che imparò a tuffarsi sul fronte siciliano per ripararsi dai bombardamenti aerei. Gianluigi Buffon, nato a Carrara a gennaio 1978, cresce a La Spezia e gioca nel Canaletto. Ha meno di dieci anni e fa il centrocampista, anche se in una foto di squadra, scattata in un giorno d’inverno e di sole del 1986, è il più alto della squadra. Non c’è, in questa foto, nessun dettaglio da cui si possa trarre un banale o scontato “già si vedeva che…”: il bambino Buffon è soltanto alto, e come tutti gli altri suoi compagni ha le braccia incrociate, forse per il freddo, e indossa la maglietta gialla e rossa della società spezzina. Gioca poi nel Perticata, di nuovo vicino a Carrara, poi nel Bonascola, e il 13 giugno del 1991 lo acquista il Parma per 15 milioni di lire. Acquista Gianluigi Buffon, tredicenne centrocampista. Pensateci un attimo: doveva essere un eccellente centrocampista, per finire al Parma a tredici anni per quella cifra. L’anno dopo arriva la classica curva del destino: si infortunano tutti i portieri dei ducali, e dopo due settimane Buffon è titolare tra i pali. Ha tre anni per imparare un ruolo, prima della sua “prima” in Serie A, anche se lui non lo sa ancora.