La storia di Zahir Belounis
Un calciatore franco-algerino ha lasciato il Qatar dopo quasi due anni di permanenza forzata, a causa di una controversia legale con la sua squadra
Giovedì 28 novembre, Zahir Belounis, un calciatore franco-algerino di trentatré anni, è atterrato all’aeroporto “Charles de Gaulle” di Parigi, dopo aver finalmente ricevuto dalle autorità del Qatar l’autorizzazione a lasciare il paese. Si è conclusa così una lunga controversia tra Belounis e il suo club sportivo, l’Al-Jaish Sport Club (che gioca nella Qatar Stars League, il principale campionato di calcio del Qatar) a causa della quale il calciatore era rimasto contro la sua volontà per 19 mesi nel paese arabo insieme alla moglie alle due figlie.
La vicenda è cominciata due anni fa, quando Belounis aveva denunciato il mancato pagamento dello stipendio da parte della società, alla quale era vincolato da un contratto quinquennale firmato nel 2010. Per via delle leggi sul lavoro vigenti in Qatar (il sistema normativo della cosiddetta kafala), che vietano ai lavoratori stranieri di poter abbandonare il paese senza l’autorizzazione del datore di lavoro, a Belounis era stato negato il visto di uscita, come conseguenza della sua denuncia nei confronti del club, che nel frattempo aveva anche tentato di cederlo ad altre squadre senza il suo consenso.
Senza alcun salario e senza la possibilità di lasciare il paese, scrive il New York Times, la famiglia di Belounis ha potuto contare soltanto sui soldi inviati dai suoi parenti in Francia e sulle donazioni della comunità francese residente in Qatar.
Nelle ultime settimane la storia di Belounis è stata ripresa da diversi giornali internazionali: in passato il suo caso era stato denunciato da Human Rights Watch e da altre organizzazioni a tutela dei diritti umani, oltre che dal sindacato internazionale dei calciatori FIFPro, che proprio alcuni giorni fa aveva inviato in Qatar una delegazione per richiedere il rilascio immediato di Belounis. A giugno di quest’anno Belounis aveva anche incontrato il presidente francese François Hollande, in visita a Doha, ricevendo rassicurazioni su una rapida risoluzione della vicenda.
Due settimane fa Belounis aveva inviato una lettera all’allenatore del Bayern Monaco Pep Guardiola e al campione francese Zinedine Zidane, ambasciatori della FIFA, chiedendo espressamente un interessamento degli enti sportivi internazionali e denunciando le difficili condizioni di molti lavoratori in Qatar, la nazione che ospiterà i Mondiali di calcio del 2022. Sharan Burrow, segretario generale della Confederazione sindacale internazionale (ITUC), che in questi mesi ha collaborato con Belounis, aveva dichiarato lo scorso aprile: «lì queste persone sono praticamente degli schiavi, il sistema legale non funziona, i loro contratti sono stracciati per capriccio».
Belounis ha dichiarato di non sapere se tornerà mai più a giocare. Il suo contratto con l’Al-Jaish Sport Club è tuttora valido e durerà fino al 2015, e Belounis conta di riuscire a ottenere prima o poi le somme che gli spettano come retribuzione.
La vicenda ha fatto tornare a parlare delle leggi sul lavoro nel Qatar, dove sono già stati avviati i cantieri per i mondiali di calcio: la legislazione locale rende i datori di lavoro i padroni di fatto dei dipendenti, nella stragrande maggioranza dei casi lavoratori immigrati. Nel caso di Belounis, le conseguenze sono state una lunga permanenza forzata nel paese, mentre per i molti lavoratori del settore edile le cose vanno spesso molto peggio. A settembre il Guardian pubblicò un’inchiesta sulle pessime condizioni di lavoro di molti operai di alcune imprese edili incaricate della costruzione degli stadi per i Mondiali del 2022: secondo l’inchiesta, oltre che essere costretti a lavorare a temperature vicine ai 50 gradi e senza accesso alle fonti d’acqua, molti operai raccontarono di aver subito punizioni corporali. Tra giugno e agosto 44 operai impiegati nei cantieri del Qatar sono morti, la maggior parte per arresto cardiaco o incidenti sul lavoro.