Playboy ha 60 anni
Una raccolta di copertine e la storia di un giornale leggendario per una ragione, per quanto sia-stato-anche-altro-eccetera
Il primo numero di Playboy, la rivista erotica più famosa del mondo, uscì negli Stati Uniti 60 anni fa, a dicembre del 1953. Playboy era stato creato a Chicago nel 1953 dall’allora ventisettenne Hugh Hefner, e divenne rapidamente il primo periodico mensile di notorietà internazionale a contenere fotografie di donne nude, sebbene pubblicasse anche contenuti giornalistici tradizionali, articoli di costume e interviste a personaggi famosi. In più, seguendo una consuetudine di diverse riviste americane di attualità, nel corso degli anni Playboy ha pubblicato racconti brevi di scrittori come Norman Mailer, Vladimir Nabokov, Gabriel Garcia Marquez, Jack Kerouac, John Updike e Chuck Palahniuk – per dirne solo alcuni –, e illustrazioni di disegnatori importanti.
Oggi l’edizione americana di Playboy – che nei decenni è stata declinata in decine di versioni locali: quella italiana nacque nel 1972 – vende 1,25 milioni di copie, di cui la maggior parte in abbonamento (negli anni Settanta arrivò a 7 milioni) e fa capo a una società quotata in borsa, la Playboy Enterprises, responsabile di altri contenuti per adulti e pubblicazioni varie, tra cui calendari, video, siti internet e trasmissioni televisive, per un giro di affari complessivo di 135 milioni di dollari all’anno.
Il primo numero di Playboy del dicembre del 1953 era lungo 44 pagine, costava mezzo dollaro e non aveva alcuna data stampata sulla copertina, perché Hefner – che aveva da poco lasciato un lavoro come copywriter per il magazine Esquire – all’epoca non sapeva se e quando sarebbe uscito un secondo numero della rivista. Dapprima avrebbe dovuto chiamarsi Stag Party (in inglese “stag” è il maschio del cervo, e “stag party” significa addio al celibato) ma, per evitare controversie legali con un altro magazine già esistente di nome Stag, poco prima della pubblicazione fu scelto in alternativa il nome Playboy (suggerito a Hefner da un amico, secondo la leggenda).
Il logo della rivista scelto inizialmente (un cervo in vestaglia, disegnato dal vignettista Arv Miller) fu quindi trasformato proprio all’ultimo in un coniglio, ma la versione conosciuta ancora oggi – il profilo della testa di un coniglio con un papillon da smoking – fu disegnata dall’art director Art Paul e comparve a partire dal secondo numero. In poco tempo divenne il simbolo di Playboy e, negli anni a venire, di tutti gli altri prodotti del gruppo Playboy Enterprises, società di cui Hefner è tuttora presidente.
Il primo numero di Playboy conteneva una fotografia di Marilyn Monroe nuda: lei era da poco diventata una delle attrici più famose del mondo (quell’anno erano usciti Niagara, Gli uomini preferiscono le bionde e Come sposare un milionario, in cui recitava da protagonista). Si trattava in realtà di una foto tratta da un servizio risalente a quattro anni prima, quando Monroe aveva ventidue anni e non era ancora molto conosciuta, fatto dal fotografo statunitense Tom Kelley, che aveva poi rivenduto quelle fotografie a un editore che ne aveva fatto un calendario (senza citare il nome della protagonista degli scatti). Hefner ricomprò i diritti di quelle fotografie, e fu un grande successo: il primo numero di Playboy vendette poco più di 54 mila copie.
Nell’editoriale d’apertura era scritto, in linea con un compiaciuto e rivendicato maschilismo alla base dell’idea: «vogliamo chiarire fin dall’inizio che non siamo un magazine per famiglie. Se sei la sorella, la moglie o la suocera di un uomo, e hai preso questa rivista per sbaglio, per favore passala a lui e torna al tuo Ladies Home Companion [una rivista femminile]».
Negli anni successivi Playboy cominciò a proporre in ogni numero le fotografie di una nuova ragazza, la “Playmate” del mese, che nelle intenzioni di Hefner avrebbe dovuto mostrare la “ragazza della porta accanto” senza vestiti indosso: divenne una rubrica fissa, nel centerfold, il paginone centrale apribile che mostrava la ragazza in una foto grande da staccare e appendere.
Nel numero di gennaio del 1958, Playboy pubblicò nel centerfold la fotografia di una ragazza di sedici anni, e Hefner fu denunciato per incitamento alla delinquenza su una minorenne: il caso fu archiviato perché la ragazza protagonista del numero di gennaio era stata autorizzata dalla madre. Quella volta, Hefner dichiarò che Playboy non avrebbe mai più pubblicato foto di ragazze nude minori di diciotto anni, ma da quel momento in poi la rivista – racconta il New Yorker in un lungo articolo del 2006 – cominciò ad acconciare le modelle in modo da farle sembrare molto più giovani, per abbigliamento, taglio di capelli e altre caratteristiche.
Alla fine degli anni Sessanta, grazie ai grossi ricavi provenienti dalle vendite, Hefner acquistò un grande edificio di Chicago e spese 400 mila dollari – una cifra altissima, all’epoca – per ristrutturarlo: ne venne fuori la “Playboy Mansion”, la villa di Playboy, che cominciò a ospitare, anche solo provvisoriamente, molte ragazze protagoniste delle pubblicazioni di Playboy (e nei decenni seguenti diventò anche la location di trasmissioni televisive di successo della Playboy Enterprises). In quegli anni la società di Hefner aprì anche diversi club, casino e hotel negli Stati Uniti.
Il periodo di massima circolazione di Playboy fu l’inizio degli anni Settanta, quando la rivista raggiunse la tiratura di 7 milioni di copie. Per cercare di contrastare la concorrenza di altre riviste simili (come Penthouse) e in conseguenza dei cambiamenti culturali e di costume, Playboy aveva iniziato a spingersi un po’ più oltre mostrando – oltre al seno – altre parti del corpo delle modelle, che fino ad allora la rivista non era solita mostrare. Ma Hefner continuò a concepire Playboy non come un giornale con foto di ragazze nude e basta. Playboy pubblicava già altri contenuti di genere non erotico fin dalla sua nascita, ed Hefner aveva cominciato a sfruttare il successo e la popolarità crescenti della rivista per ottenere – a partire dal 1962 – lunghe interviste con personaggi molto celebri, che peraltro – per la natura stessa della rivista – si mostravano più disinibiti che in altre circostanze. Nei tre anni a partire dal 1962, Playboy pubblicò interviste a Miles Davis, Billy Wilder, Bertrand Russell, Malcolm X, Richard Burton, Ingmar Bergman, Henry Miller e Cassius Clay.
Pur registrando perdite più o meno regolari a partire dalla fine degli anni Settanta, Playboy ha continuato a mantenere un ruolo rilevante nel panorama delle pubblicazioni cartacee per adulti. La concorrenza di nuove pubblicazioni simili e, in anni più recenti, di nuovi prodotti di intrattenimento per adulti (l’home-video prima e la diffusione di contenuti pornografici su internet poi) ha contribuito – insieme a una più vasta crisi generale del settore editoriale – a determinare una progressiva flessione nelle vendite. Negli ultimi anni anche la Playboy Enterprises ha avuto pesanti perdite in borsa.
L’attuale amministratore delegato di Playboy Scott Flanders ha sostituito nel 2009 Christie Hefner – figlia di Hugh, in carica dal 1982 – quando il gruppo aveva perdite pari a circa 12 milioni di dollari all’anno: Flanders ha venduto una parte delle proprietà della Playboy Enterprises e molte concessioni di abbigliamento, e in quattro anni da allora ha ridotto del 75 per cento il numero dei dipendenti.
Playboy – che intanto ha ridotto le uscite da 12 a 10 numeri annuali – rimane ancora oggi la rivista per adulti più venduta negli Stati Uniti. Su internet raggiunge ogni giorno un numero crescente di lettori tramite piattaforme come Vine, Tumblr e Instagram, ma sulle ipotesi di un futuro abbandono della pubblicazione cartacea, Flanders dice: «Dovranno passare sul mio cadavere prima di smettere di stampare Playboy».