L’economia più dinamica d’Europa
La Polonia è uscita dalla crisi con pochi danni, e sta tornando a crescere più veloce del resto del continente
La crisi economica è stata così grave in Europa che il PIL di molti parte dei paesi del continente deve ancora tornare al livello raggiunto nel 2009. Per alcuni paesi, come l’Italia, quel livello è ancora molto lontano. A est dell’Oder, il fiume che storicamente divide l’Europa centrale da quella orientale, le cose vanno diversamente.
Negli ultimi quattro anni la Polonia non ha avuto nemmeno un periodo di recessione. La sua economia ha continuato a crescere rapida, rallentando appena negli ultimi due anni. Nel 2009, mentre l’economia dell’Unione Europea si contraeva del 4,5 per cento, la Polonia è cresciuta dell’1,6 per cento. Nel 2012 di un altro 1,8 per cento e, secondo gli ultimi dati, quest’anno potrebbe crescere dell’1,9 per cento. E questi sono stati i risultati peggiori dell’ultimo decennio.
La Polonia è un paese in rapida evoluzione e questi ultimi rallentamenti – che rimangono molto migliori alle cifre a cui siamo abituati da queste parti – hanno avuto effetti spiacevoli per la popolazione. La disoccupazione oggi è al 13 per cento e l’attuale primo ministro, Donald Tusk, ha perso molto consenso negli ultimi anni, soprattutto tra i più giovani. Nonostante questi tentennamenti, la Polonia rimane “L’economia più dinamica dell’Europa”, come la definisce in un lungo articolo il settimanale Bloomberg Businessweek.
Da dove arriva la Polonia
Come non mancano quasi mai di far notare i grandi giornali internazionali, la Polonia è stata a lungo uno degli stati più sfortunati d’Europa, schiacciata tra potenze ostili e invasa innumerevoli volte. Come diceva un popolare proverbio antico: “I polacchi sono odiati dai tedeschi perché sono slavi e dagli slavi perché sono cattolici”. Nel corso dei secoli la Polonia è stata spesso spartita tra i suoi più grandi vicini, Prussia (e poi Germania), Austria e Russia; dopo la Prima guerra mondiale riacquistò faticosamente l’indipendenza, per poi perderla in seguito all’invasione nazista.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale venne occupata dall’Armata Rossa e venne instaurata una dittatura comunista. Per quasi cinquant’anni la Polonia rimase uno stato satellite dell’Unione Sovietica. Negli anni ’80, grazie anche al movimento di Solidarnosc, fu uno dei primi paesi del Patto di Varsavia a ribellarsi e la sua rivolta contribuì molto più di altri al definitivo crollo dell’Unione Sovietica.
Secondo Bloomberg Businessweek, potrebbero essere proprio gli anni a cavallo della caduta del regime sovietico il punto nel quale la storia dell Polonia ha cominciato a divergere da quella degli altri paesi dell’Europa orientale. I polacchi si erano, in un certo senso, liberati da soli, e il nuovo governo – anche grazie a questo risultato – impose immediatamente una serie di riforme per cambiare il paese.
I controlli sui prezzi vennero eliminati, gli stipendi pubblici furono bloccati, il commercio venne liberalizzato e si permise al cambio della moneta nazionale di fluttuare liberamente. Furono riforme drastiche e molto difficili che portarono a un aumento enorme della disoccupazione e a un crollo del PIL, che nel 1991 scese del 9,1 per cento. Ma furono riforme che, nel lungo periodo, produssero grandi risultati.
La Polonia fino alla crisi
Tra il 1991 e il 2007 l’economia polacca è cresciuta del 177 per cento, lasciandosi alle spalle tutte le altre economie dell’Europa orientale. Dal 2004 a oggi la percentuale di popolazione a rischio di povertà si è quasi dimezzata, passando dal 45 per cento al 26 per cento (un numero che resta comunque superiore alla media europea del 24 per cento).
Come per molti paesi in via di sviluppo, la crescita della Polonia è stata avvantaggiata dal fatto che fino alla caduta dell’Unione Sovietica le infrastrutture erano praticamente assenti. I polacchi erano abituati a dire che l’unica autostrada del paese era stata costruita da Hitler – la chiamavano “la più lunga scala d’Europa” per via della sensazione che si provava a guidare sopra i suoi blocchi di cemento sconnessi.
In un paese dove non c’è niente è difficile costruire cose inutili, quindi ogni soldo speso dal governo per costruire strade, ponti o aeroporti finiva per essere utile e ben speso. E di soldi in Polonia ne arrivarono molti, soprattutto da quando, nel 2004, entrò a far parte dell’Unione Europea. Nel 2007-2013 la Polonia è stata il più grande beneficiario di fondi europei e ha ricevuto circa 100 miliardi di euro.
Nel 2012 ha ospitato, insieme all’Ucraina, i campionati europei di calcio, ricevendo un’altra iniezione di denaro. In questi anni, scrive Bloomberg Businessweek, tutto è stato ricostruito e migliorato: strade, porti, aeroporti, ferrovie e stazioni. Il contrasto con l’epoca del comunismo è molto forte: «È difficile ricordare come andavano le cose una volta se guardiamo a come vanno oggi», ha detto un gestore di fondi di investimento polacco intervistato dal settimanale.
La legislazione che tutela il lavoro è estremamente flessibile, tanto che da quando è entrata in Europa la Polonia è stata più volte minacciata di sanzioni per non rispettare la normativa europea sulla tutela dei precari. In ogni caso, il tasso di occupazione – cioè la percentuale della popolazione in età lavorativa che ha un lavoro – è continuato ad aumentare negli ultimi 10 anni: dal 51 per cento del 2003 all’attuale 60 per cento (cinque punti percentuali in più di quello italiano). Il tasso di disoccupazione, dal record del 2003 quando raggiunse il 20 per cento, è sceso fino al 7 per cento del 2008. L’anno successivo cominciò la crisi finanziaria che, nonostante tutto, si è sentita anche in Polonia.
La Polonia e la crisi
Secondo gli ultimi sondaggi, l’approvazione del primo ministro polacco Donald Tusk, del partito di centrodestra Platforma Obywatelska (“piattaforma civica”), è precipitata negli ultimi mesi dal 40 al 22 per cento. Il principale partito di opposizione, Legge e Giustizia, gode del 31 per cento dei consensi.
Sembra strano, dopo tutto quello che abbiamo detto, che i polacchi non portino in giro sulle spalle i loro leader politici, ma in un paese come la Polonia che, nonostante tutto, è ancora uno dei più poveri d’Europa, anche un rallentamento della crescita economica può essere un problema. La popolazione, soprattutto i più giovani e i più poveri, non si aspettano soltanto che il governo mantenga lo status quo, ma che faccia crescere in fretta l’economia, crei posti di lavoro e aumenti i salari.
Oltre a questo, l’inizio del 2013 è stato particolarmente difficile: il primo trimestre l’economia è cresciuta “soltanto” dello 0,5 per cento, facendo temere che la sua corsa si fosse improvvisamente arrestata. Secondo le ultime stime, quest’anno l’economia dovrebbe crescere del 1,9 per cento, ma tra i polacchi restano ancora molti timori sul futuro del paese. Una delle cause è proprio la disoccupazione che negli ultimi anni è cresciuta fino a raggiungere il 13 per cento: un livello che non si vedeva dal 2006.
Anche la situazione delle finanze pubbliche è piuttosto preoccupante. Il debito pubblico del paese si sta avvicinando al limite del 55 per cento rispetto al PIL, che è fissato per legge. Il deficit, cioè quanto il governo spende più di quanto incassa, era al 7,4 per cento nel 2009 e quest’anno dovrebbe raggiungere l’obbiettivo del 4,2 per cento: comunque troppo per gli standard europei che prevedono un deficit non superiore al 3 per cento. La Commissione europea ha dato tempo fino al 2014 per riportarlo entro i parametri prima di aprire una procedura di infrazione.
Tusk ha cercato di dare l’impressione di voler cambiare passo. Poche settimane fa ha cambiato il ministro delle finanze e quello dell’ambiente. Quest’ultima sostituzione, in particolare, è arrivata in seguito a numerose polemiche con gli ambientalisti del paese che si oppongono ai programmi di estrazione del cosiddetto “shale gas”. Secondo alcuni studi la Polonia è uno dei paesi in Europa con le riserve più ricche di gas e petrolio intrappolato tra le rocce sottoterra.
Gli ambientalisti sostengono che il metodo di estrazione di questo combustibile, il fracking, sia troppo inquinante. Il nuovo ministro dell’Ambiente, a quanto pare, è molto più disponibile a dare il via a una campagna di ricerca ed estrazione, scrive il Wall Street Journal. Se questo progetto dovesse avere successo, la Polonia potrebbe ottenere un’ulteriore spinta alla crescita economica, oltre che una maggiore autonomia energetica dal suo principale fornitore attuale, la Russia – con cui i rapporti non sono sempre sereni.
Il futuro della Polonia
Le prossime elezioni presidenziali sono fissate per il 2015, quindi, secondo molti commentatori, Tusk avrà tutto il tempo di riconquistare il suo elettorato. E se le cose dovessero continuare così sembra che non sarà difficile, visto che all’orizzonte si intravede già una robusta ripresa: la crescita per il 2014 è prevista al 2,5 per cento, ma potrebbe facilmente raggiungere il 3 per cento.
Una parte del successo della Polonia durante la crisi è dovuta alla svalutazione della moneta, lo zloty, che rispetto all’euro ha perso il 30 per cento del valore tra il 2008 e il 2009. Questo ha aiutato le esportazioni polacche, ma non è durata a lungo e nel 2012 la moneta è tornata ad apprezzarsi. Al momento la banca centrale sta praticando una politica di tassi piuttosto alti (al 2,5 per cento) per tenere sotto controllo l’inflazione.
Ma ci sono anche altri segni di vitalità nell’economia polacca. Negli ultimi mesi la produzione industriale è cresciuta e le banche, dopo un periodo di incertezza, hanno ricominciato a prestare soldi alle imprese. L’economia cresce in maniera abbastanza equilibrata grazie alla domanda estera, ma anche quella interna sta migliorando. Senza contare che nuovi aiuti stanno arrivando dall’Europa: nel periodo 2014-2020 la Polonia sarà di nuovo il maggior beneficiario europeo.
Un gestore di fondi di investimento, intervistato dal Financial Times, ha riassunto così la situazione della Polonia: «Storicamente abbiamo sempre sottovalutato la Polonia rispetto alla Russia o alla Turchia», ma ora che il paese sta ricominciando a crescere velocemente le cose sono cambiate: «Penso che aumenteremo la nostra esposizione verso la Polonia, piuttosto che abbassarla».