13 canzoni di Randy Newman
Che oggi compie 70 anni, ed è uno dei più grandi cantautori americani anche se lo conoscono in pochi: però ha vinto due Oscar
Il 28 novembre compie 70 anni Randy Newman, uno dei più grandi cantautori americani malgrado di fama molto più ristretta di quella di suoi colleghi di altrettanta rilevanza: presso i quali invece è ammiratissimo, mentre si è costruito i successi e le visibilità maggiori attraverso la composizione di colonne sonore e canzoni da film, con le quali è stato candidato all’Oscar ben venti volte, vincendolo due. Luca Sofri, il peraltro direttore del Post, ne ha scritto un ritratto alcuni anni fa, e ne ha scelto le seguenti canzoni per il suo libro Playlist, presentandolo così.
Randy Newman (1943, Los Angeles, California)
Randy Newman somiglia a un fan di Randy Newman. È grande e grosso, un po’ goffo e un po’ strabico. Ha passato la sessantina ed è uno dei più grandi cantautori americani: con Dylan, Paul Simon e Neil Young, il più longevo. Quelli che sono venuti dopo lo citano come maestro, da Elvis Costello a Elliott Smith. Ed è il protagonista del “Grande Mistero di Randy Newman”, secondo Greil Marcus, il critico che ha scritto un celebre libro sul rock americano (Mystery Train, Editori Riuniti): «perché questo genio non è famoso e conosciuto come dovrebbe?». Lui stesso dice di avere quarantamila fans appassionati, e sei miliardi che non lo hanno mai sentito nominare. I critici più importanti mettono i dischi di Randy Newman tra i loro preferiti di tutti i tempi, ogni uscita è trattata come un capolavoro e i suoi testi analizzati con eccitazione. Ma non vende un accidente da quasi quarant’anni: «Phil Collins è bravo a scrivere musica che gli fa guadagnare un sacco di soldi, io sono bravo a scrivere queste melodie un po’ datate».
Love story (You and me)
(Randy Newman, 1968)
Le canzoni di Randy Newman sono fatte in modo che proprio quando pensi di aver capito di cosa parlano, ti accorgi di esserti sbagliato, o forse no. Non sei mai sicuro. C’è sempre una parte di ironia che scongiura la retorica e una parte di tenerezza che scongiura il sarcasmo. La prima canzone del suo primo disco (scriveva per altri già da molto) si chiamò “Love story”, la scelta più banale. E parla di lui e di lei e dei bambini che verranno, e di come saranno felici. Fino a che non avranno anche dei nipotini e verranno spediti in un ospizio in Florida a giocare a scacchi aspettando di morire. Ecco.
I think it’s going to rain today
(Randy Newman, 1968)
Il primo disco aveva parecchia orchestra, ma si chiudeva con la prima delle grandi canzoni al solo pianoforte di Randy Newman. L’avrebbero cantata in moltissimi, poi, ma se vi capita cercate la versione sconosciuta di due norvegesi che si chiamano Sidsel Endresen e Bugge Wesseltoft.
Sail away
(Sail away, 1972)
Una delle canzoni più famose di Newman, “Sail Away” ha una solenne e struggente orchestrazione e pare un inno a partire per l’America, il paese della libertà dove tutto è più bello: poi capisci che sono le parole di un negriero dirette agli africani che sta caricando sulla sua nave per andare a venderli come schiavi.
Political science
(Sail away, 1972)
Randy Newman è grande perché si immedesima in ognuno dei personaggi che racconta, anche i peggiori (dopo di che lo fraintendono, e lo accusano di pensare le cose che mette in bocca ai suoi personaggi). Qui sono i politici a raccontare la loro frustrazione – “nessuno ci ama, con tutto quello che facciamo per loro” – e il desiderio di sfogarsi bombardando mezzo mondo: “tanto ci odierebbero comunque”.
Louisiana 1927
(Good old boys, 1974)
Randy Newman era nato a Los Angeles. Ma da bambino visse a lungo a New Orleans, e la sua musica ha sempre qualcosa delle tradizioni di famiglia del sud. E per percepire l’affetto, basta sentire come canta “Luisièn…”. Nel 1927 ci fu la grande inondazione del Mississippi: ma a risentire questa canzone adesso, dopo Katrina, tutto sembra uguale, compresa la retorica delle istituzioni sulla “povera gente”.
Mr. President
(Good old boys, 1974)
La carriera parallela di Randy Newman è altrettanto decennale. Quella di scrittore di colonne sonore per il cinema (suo zio Alfred Newman è l’autore dello squillo di trombe che si sente all’inizio dei film della 20th Century Fox e ha vinto nove Oscar). In molta della musica da film che ha scritto si sentono citazioni delle sue canzoni e in molte delle sue canzoni si vede la mano del compositore di musica da racconto. “Forse ha imbrogliato, forse ha mentito, forse ha perso la testa, forse pensa solo a se stesso. Ma è troppo tardi per continuare. Signor Presidente, abbia pietà per la gente che lavora”. Era il 1974, Nixon non avrebbe avuto pietà ma ci avrebbe pensato il Washington Post.
I love LA
(Trouble in paradise, 1983)
Anche qui c’era dell’ironia, nel cantare l’odio per New York e Chicago e l’amore per le bellezze di Los Angeles (ragazze, Beach Boys, autostrade e “tutti sono così felici perché c’è sempre il sole”). Ma l’ironia si perse e “I love LA” diventò un discreto successo, soprattutto come inno olimpico e della squadra dei Lakers.
My life is good
(Trouble in paradise, 1983)
Trouble in paradise fu un disco diverso dagli altri. Arrangiamenti più ricchi e moderni, più pop, più tastiere elettroniche e meno pianoforte. E c’è questa canzone in cui lui 351 prende in giro come al solito un po’ tutti (e anche se stesso) facendo il personaggio della star hollywoodiana che non si vuole sentir dire dalla maestra di suo figlio che il bambino crea dei problemi. E a un certo punto arriva a spiegarle che lui è intimo di Bruce Springsteen (con una gag su Clarence Clemons, il leggendario sassofonista di Springsteen) e che lei insomma non può rovinargliela giornata con queste cose. Ma il modo in cui dalla concitazione della strofa esce la bellezza liberatoria di “my-life-is-good” rende quasi soli-dali con il personaggio.
Falling in love
(Land of dreams, 1988)
Questa è semplicemente un’allegra canzone d’amore, decorata dalla battuta finale: “Stai lì a un metro da terra e ti chiedi ‘che ho fatto per meritarmi questo?’. Beh, non hai fatto un bel niente”.
I want you to hurt like I do
(Land of dreams, 1988)
Una bellissima ballata soul, dolorosa e sentimentale, sul desiderio egoista ma umanissimo di non essere l’unico a soffrire («una specie di “We are the world”» disse lui per fare lo spiritoso).
My country
(Bad love, 1999)
Dedicata ai figli e al suo paese: si apre come una dichiarazione d’amore (“this is my country, these are my people, this is the world I understand”), salvo svelare che è la televisione che unisce tutto quanto e separa e rimbambisce tutti quanti. I tuoi ragazzi sono i tuoi ragazzi, ognuno ha la sua tv, ma tornano sempre a trovarti: e anche se li amo sono sempre un po’ contento quando vanno via.
I miss you
(Bad love, 1999)
Non si ricordano molte altre canzoni d’amore nei confronti della ex moglie da parte di cantanti felicemente risposati. Ma se anche ce ne fossero, questa è di certo la più bella.
A few words in defense of our country
(singolo, 2007)
Solo il piano e lui, che ne dice di tutti i colori a chi manda avanti il suo paese, e fa paragoni ironici con i grandi imperi del passato. L’ha cantata quando è stato invitato da Steve Jobs a chiudere l’annuale keynote di Apple, nel 2008. L’azienda più cool del pianeta, e un signore di 65 anni.
– Luca Sofri: Il grande mistero di Randy Newman