La lettera di Bernardo Caprotti al Corriere
Il presidente della catena di supermercati Esselunga si è "sputtanato fino in fondo", rispondendo arrabbiato a un articolo sulle donazioni ai figli
Martedì 26 novembre Bernardo Caprotti, presidente della catena di supermercati Esselunga, ha scritto una lettera molto dura indirizzata al direttore del Corriere della Sera in risposta a un articolo del giorno precedente nel quale il giornalista Mario Gerevini elencava con parecchi dettagli una serie di donazioni fatte da Caprotti a familiari, segretaria e altri enti dal 2002 a oggi. Oltre a indicare per ogni familiare (moglie, figli, nipoti) i milioni di euro ricevuti in donazioni da Caprotti, l’articolo spiegava i rapporti molto difficili tra l’imprenditore e i due figli maggiori avuti dal primo matrimonio, Violetta e Giuseppe, che hanno intentato contro il padre una causa civile per averli esautorati di fatto dal controllo dell’azienda.
Nella lettera Caprotti spiega di essere stato obiettivo di una congiura interna all’azienda, pensata tra gli altri anche da sua figlia Violetta. Spiega di avere pagato tutte le tasse previste sulle donazioni, che sono perfettamente legali, e critica duramente Gerevini accusandolo di aver «impestato tutte le redazioni dei giornali d’Italia, con quella roba che avete stampato».
Bernardo Caprotti prese la direzione della Supermarkets (poi Esselunga) nel 1965, quando i supermercati della catena erano 15. Oggi sono 144, con 6,8 miliardi di fatturato e 20mila dipendenti. Caprotti lascerà tutte le deleghe operative in Esselunga il 23 dicembre prossimo e smetterà di essere dipendente dopo 62 anni di lavoro.
Caro Direttore,
grazie, siamo finalmente in prima pagina, sia Gerevini che io. Se posso, vorrei dire – a seguito di qualche malevolo commento – che tutto ciò che ho dato ha pagato le tasse. Poi, che altre donazioni possono aver luogo, senza passare per il notaio: Ricerca sul Cancro, Vidas, Bambini nefropatici, Shoah, San Raffaele, scusa mi fermo, sono stati i miei preferiti. Infine un chiarimento su tutta questa gazzarra. Qui dentro c’è stato un terribile schifo, una congiura. Un vecchio che qui aveva fatto troppa carriera doveva fare le scarpe all’amministratore delegato Carlo Salza, assieme a una centralinista, la consigliera-assistente di mia figlia Violetta e a un giornalista che ben conosci e che ha impestato tutte le redazioni dei giornali d’Italia, con quella roba che avete stampato. Carlo Salza, Germana Chiodi, io e altri dovevamo «essere fatti fuori». Ma noi siamo un gruppo di ferro. In questo orrendo frangente, quella figlia purtroppo ha creduto di più in quel vecchio arnese che nel suo papà. Ed è così che non c’è stato modo: nello sbalordimento dei suoi e dei miei professionisti, neppure ha voluto considerare l’opportunità miliardaria di ricevere 84 immobili dal reddito ingente e sicuro e mettersi tranquilla. Qui sta la chiave di tutto. Mettere queste cose in piazza mi ripugna. Ma quando si arriva al punto di avere persino il numero del proprio conto corrente pubblicato su quello che è il «Times» del proprio Paese, forse conviene sputtanarsi fino in fondo.
Con amicizia e riconoscenza.
Bernardo CaprottiP. S. Le montagne di cose e di soldi che hanno avuto i miei due figli maggiori, qui non lo mettiamo, anche per decenza.