Bocciato il referendum sui salari equi in Svizzera
Da oltre il 60% degli elettori: prevedeva che in una stessa azienda nessuno potesse guadagnare in un mese più di quanto in un anno guadagnano i dipendenti meno pagati
Domenica 24 novembre si è votato in Svizzera un referendum per limitare il divario tra lo stipendio più alto e quello più basso in una stessa azienda. La proposta del referendum è stata bocciata. Prevedeva l’introduzione di alcune modifiche nella Costituzione basate sul principio cosiddetto “dell’uno a dodici”, cioè che nessun dipendente potesse guadagnare in un mese più della retribuzione annuale dei dipendenti meno pagati nello stesso ente o stessa azienda, pubblica o privata che fosse. Per essere approvato il referendum avrebbe dovuto raggiungere una doppia maggioranza, tra i votanti e tra i cantoni: hanno votato contro il 65,3 per cento dei votanti e tutti i 26 cantoni del paese.
L’iniziativa era stata proposta nel marzo del 2011 dalla Gioventù socialista svizzera (JUSO, l’organizzazione giovanile del Partito Socialista svizzero). Il testo della campagna “1:12 per salari più equi” spiegava come il divario tra i salari in Svizzera fosse cresciuto negli ultimi anni in modo vertiginoso. Nel 1984 il rapporto tra lo stipendio minimo percepito e quello massimo era di 1:6, nel 1998 di 1:13, nel 2011 era arrivato in media a 1:43. Lo slogan dei promotori della campagna era: «Un salario 12 volte più elevato può bastare», anche se il rapporto non era fissato in modo troppo rigido. Il salario sarebbe stato proporzionato al numero delle ore lavorate: un dirigente che lavora 60 ore la settimana avrebbe potuto ricevere un compenso che sarebbe stato in realtà di 18 volte superiore a quello di un dipendente che ne lavora 40.
Secondo alcuni esperti, la proposta contenuta nel referendum potrebbe essere stata troppo radicale per gli elettori centristi e conservatori della Svizzera. La Svizzera è lo stato in cui hanno sede diverse grandi società che operano in tutto il mondo, come le aziende farmaceutiche Novartis e Roche, i gruppi assicurativi Zurich e Swiss Re, e le banche UBS e Credit Suisse. Molti imprenditori svizzeri, scrive Associated Press, hanno sostenuto che imporre dei limiti sul divario tra gli stipendi minimi e massimi avrebbe indebolito la competitività delle grandi aziende nazionali, reso più difficile attrarre i talenti migliori e spinto alcune società a spostare la propria sede e il proprio gruppo dirigente all’estero.
Si erano espressi in senso contrario anche governo e parlamento federale, entrambi di orientamento conservatore, che avevano detto che in caso di vittoria del “sì” ci sarebbero potute essere conseguenze molto negative per le entrate fiscali e il sistema pensionistico.
I sostenitori della proposta speravano invece in un risultato positivo anche sulla scia del referendum di iniziativa popolare votato il 3 marzo scorso e riguardante il tetto agli stipendi dei manager (in pratica stabiliva che gli stipendi dei manager delle società quotate dovessero essere approvati dalle assemblee degli azionisti): in quell’occasione il referendum era stato approvato con quasi il 70 per cento dei “sì” e il voto favorevole di tutti i 26 cantoni della Svizzera.