Le intercettazioni non sono giornalismo
Sono "un commercio a scopo politico" che "liquida le garanzie istituzionali", scrive il direttore di Internazionale
Il tema dell’intenso e indiscriminato uso delle intercettazioni giudiziarie da parte dei giornali – e dei meccanismi con cui gli atti giudiziari raggiungono i giornali – è tornato a essere discusso nei giorni scorsi a causa dei documenti pubblicati a proposito delle indagini sulla prostituzione minorile a Roma. Ma negli anni passati il dibattito su cosa sia lecito e cosa sia accettabile era stato sempre ostaggio di una divisione tra schieramenti politici, da che le pubblicazioni avevano spesso riguardato Silvio Berlusconi o altri esponenti del centrodestra. Così, le opinioni si erano spostate in base alle appartenenze: a destra si chiedevano regole più rigide, a sinistra si accusava di censure e “bavagli”, spesso a prescindere dai fatti. Oggi sulla questione è intervenuto Giovanni De Mauro, direttore del settimanale Internazionale, nel suo editoriale su un giornale di certo non berlusconiano: sparigliando quella divisione politica.
Le intercettazioni sono strumenti d’indagine, mezzi per la ricerca di prove. Passarle ai giornali è illegale ed è illegale pubblicarle quando le indagini sono ancora in corso o, peggio, quando le intercettazioni non hanno alcuna rilevanza penale. Senza entrare nel merito dei contenuti (è ovvio che se vengono pubblicate è perché spesso viene detto qualcosa di sbagliato), dovremmo chiederci chi decide di darle ai giornali e perché. In nome di una presunta trasparenza, le intercettazioni forniscono in realtà un quadro estremamente parziale, quindi opaco. Sono frammenti decontestualizzati e accuratamente selezionati. Viene fatta trapelare una telefonata ma non quella prima, o quella dopo, in cui magari il protagonista dice cose di segno opposto. Oppure non si fa trapelare la telefonata di un altro, che sullo stesso argomento può aver detto cose ben peggiori.
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