Ancora proteste in Bulgaria
Vanno avanti da 5 mesi: i manifestanti, studenti, sindacati e lavoratori di diversi settori, chiedono le dimissioni del governo e misure contro la povertà
Anche se la notizia ha poco risalto sui media europei, da oltre cinque mesi, circa 160 giorni, si svolgono quasi quotidianamente in Bulgaria grandi manifestazioni e cortei di protesta contro il governo di Plamen Oresharski, in carica dall’inizio di giugno. Nelle ultime settimane, la contestazione è stata rilanciata dagli studenti di Sofia che da un mese hanno occupato l’università e che, ieri, mercoledì 20 novembre, hanno imbracciato fucili e pistole di cartone marciando fino alla sede del Parlamento.
I manifestanti, partendo da tre diversi punti della capitale, hanno bloccato i principali incroci del centro, ma non ci sono stati scontri violenti – o notizie di feriti – né con la polizia in tenuta antisommossa né con un centinaio di persone incappucciate che si erano riunite a sostegno del governo.
Gli studenti chiedono le dimissioni del governo e nuove elezioni: denunciano la corruzione della politica, la diffusione nel paese della criminalità organizzata, la gestione non trasparente dei servizi pubblici e l’alto tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile. La loro protesta si è unita ieri a quella dei sindacati, delle migliaia di lavoratori del settore pubblico e dei tassisti che sono scesi in piazza. Tutti chiedono al governo una serie di misure contro la povertà e migliori condizioni di lavoro.
A Sofia, da diversi giorni, sono stati schierati 10 mila poliziotti in tenuta antisommossa, soprattutto vicino alle sedi delle istituzioni. Il presidente bulgaro Rosen Plevneliev ha dichiarato all’agenzia di stampa BTA: «Siamo in una situazione d’emergenza, sebbene io speri che la situazione si calmi».
Un sondaggio recente ha però mostrato che il governo di Plamen Oresharski ha un tasso di disapprovazione del 65 per cento, dovuto soprattutto alla continuazione delle politiche di austerità portate avanti dai diversi governi fin dal 2007, l’anno in cui il paese è entrato nell’Unione Europea. Politiche che hanno portato a buoni risultati per i conti pubblici, ma che sono state sostenute da pesanti tagli alla spesa e dal congelamento degli stipendi: in Bulgaria più del 22 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, la disoccupazione colpisce soprattutto i più giovani e supera il 40 per cento.
Dall’inizio dell’anno nel paese ci sono state numerose rivolte con scontri molto violenti e una serie di suicidi piuttosto eclatanti (alcune persone si sono date fuoco per strada). A febbraio, dopo le più grandi proteste di piazza degli ultimi dieci anni causate dalle politiche economiche del governo e dalle accuse di corruzione nei suoi confronti, il premier di centrodestra Boyko Borisov aveva annunciato nel parlamento di Sofia le dimissioni del suo governo. A maggio si erano svolte elezioni anticipate: il partito conservatore di Borisov – Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria (GERB) – aveva ottenuto la maggioranza relativa dei voti, seguito dal Partito Socialista Bulgaro. Di fatto, però, nessuno dei due aveva ottenuto i numeri necessari per formare una maggioranza in grado di governare stabilmente.
Il presidente Rossen Plevneliev, cui era stato rimesso il mandato, aveva affidato allora l’incarico a Plamen Oresharski, economista e candidato premier dei socialisti, che ha ottenuto a giugno la fiducia per un governo sostenuto dai socialisti, dal partito della minoranza turca, il Movimento Diritti e libertà (DSP), e grazie all’astensione decisiva della formazione ultranazionalista ATAKA, che nella precedente legislatura aveva sostenuto il governo di Borisov. Il governo di Oresharski sta però operando in continuità con il precedente esecutivo, seguendo le richieste delle autorità europee e internazionali con una serie di politiche di austerità e taglio al welfare. I manifestanti ne chiedono pertanto le dimissioni e hanno annunciato «protesta perenne» fino a quando non raggiungeranno l’obiettivo.